sabato 26 dicembre 2020

Una trama arcobaleno

 Introduzione

Traduco qui l’intervista a Noam Sienna, PhD, autore del libro “A Rainbow Thread. An Anthology of Queer Jewish Texts from the First Century to 1969 = Una trama arcobaleno. Un’antologia di testi ebraici queer dal Primo Secolo [dell’era volgare] al 1969”. Sebbene il libro sia stato pubblicato (nel maggio 2019) da Print-O-Craft, un piccolo editore di Philadelphia specializzato in Judaica, lo si può ordinare anche su Amazon, e probabilmente anche presso la vostra libreria online preferita.

L’intervista di David A.M. Wilensky è stata pubblicata da Jweekly.com - The Jewish News of Northern California = Le notizie ebraiche [settimanali] della California del Nord il 29 giugno 2020 per lanciare una presentazione virtuale del libro svoltasi il 6 luglio 2020; ho pensato però che fosse il caso di tradurre comunque l’intervista.

Le note tra parentesi quadre sono mie, e quasi tutti i link che trovate nell’intervista li ho aggiunti io – quello che è ovvio per un lettore californiano può non esserlo per noi.

Traduzione 

ebrei queer

L’anno prima che Noam Sienna, 30 anni, si guadagnasse il mese scorso il dottorato in storia ebraica all’University of Minnesota, aveva già pubblicato un libro innovativo. A Rainbow Thread. An Anthology of Queer Jewish Texts from the First Century to 1969 = Una trama arcobaleno. Un’antologia di testi ebraici queer dal Primo Secolo [dell’era volgare] al 1969” raccoglie fonti primarie di e sugli ebrei queer che risalgono a molto prima di quello che la maggior parte delle persone avrebbe ritenuto possibile. Alcune sono documenti giuridici, altre sono poesie. Vanno dallo scioccante al commovente. E molte non sono mai state pubblicate prima.

Sienna, che vive a Minneapolis, discuterà il libro il 6 luglio ad un evento virtuale sponsorizzato da The Jewish Community Library [at JCCSF – ovvero la biblioteca della comunità ebraica di San Francisco], Afikomen Judaica [un negozio di articoli e libri ebraici a Berkeley], e la congregazione Sha‘ar Zahav [una comunità riformata di San Francisco]...


A cura di Raffaele Yona Ladu


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lunedì 7 dicembre 2020

DON’T ASK DON’T TELL- Reticenze, menzogne e political correctness

Non si può dire tutto ciò che si pensa. O meglio: non si deve dire tutto ciò che si pensa. Poter dire è possibile: basta aprire la bocca e articolare le parole. Ma, nella realtà, c’è un filtro potente, inesorabile e ed inappellabile: sappiamo benissimo che esiste. 

don't ask don't tell

E sappiamo che non siamo liberi di esprimere tutto ciò che pensiamo.

Più di un secolo fa, qualcuno ha immaginato l’esistenza di un Super-io: un’istanza potentissima, che condiziona il nostro Io sia nelle azioni, sia (soprattutto) nei desideri, coscienti ed inconsci, e nel susseguente senso di colpa.

Oggi, abbiamo un nuovo padrone, nella nostra cultura, che si somma a questo, anche se su piani differenti: è il Politically Correct, una griglia che appartiene alla sfera della consapevolezza, e che viene applicata automaticamente, non ai nostri pensieri profondi, bensì alle nostre azioni e alle nostre esternazioni.

Dipende, nella sua struttura, dalla latitudine e dalla longitudine a cui ci troviamo, dal contesto politico, dal gruppo in cui ci muoviamo, ma anche modestamente dal tavolo di famiglia o dal bancone del bar su cui beviamo il caffè...


Dott.ssa Roberta Ribali


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domenica 29 novembre 2020

Il Simposio - Anagrammi

 “Silvia è un anagramma”, sostiene Franco Buffoni nel suo omonimo saggio. Si riferisce alla celebre Silvia leopardiana, il cui nome è un anagramma di “salivi”… ma anche un modo per mascherare il vero interesse sentimentale dell’autore. Perché Leopardi amava un uomo… 

il simposio lgbt anagrammi

            Abbiamo così dedicato questo numero ai modi per “dire e non dire”, alle ambiguità che - in ogni epoca - hanno segnato il modo di parlare delle sessualità non eteroconformi. Veri e propri anagrammi, in cui l’ “innominabile” viene scomposto e mascherato, ma mai taciuto del tutto - perché sarebbe impossibile.

            La strategia più nota è quella menzionata dalla dott.ssa Roberta Ribali, quella del “don’t ask, don’t tell”: ovvero, evitare del tutto il coming out, laddove non è richiesto. È la strategia tipica degli ambienti fintamente “corretti”, laddove il sorriso e la tolleranza nascondono la reale disapprovazione.

            Abbiamo poi forme d’intolleranza che possono essere sia interne che esterne alla comunità LGBT: come la panfobia, la diffidenza e la negazione aprioristica verso la pansessualità come orientamento a sé.

            Inaspettatamente fuori dall’eteronormatività risultano essere le personalità di monache ritenute sante e i contenuti di diversi testi ebraici. Spunta persino “santa Federica”… la famosa “mano amica”, utilizzabile per pratiche spirituali non certo gravose.

            Fra le realtà “innominabili” mascherate tramite “anagrammi”, non possiamo dimenticare transessualità e transgenderismo. È vero che la vista di un ftm (uomo nato femmina) suscita meno scandalo della vista di una donna transessuale? E qual è la risposta a chi si ostina a sostenere il binarismo di generi e sessi? È quello che scoprirete risolvendo i nostri anagrammi.


Il Simposio - Anagrammi è acquistabile su Amazon come Kindle o in formato cartaceo.

sabato 10 ottobre 2020

Abbiamo bisogno di rabbini gay

 Introduzione

Il 27 Maggio 2019/22 Iyyar 5779, il rabbino Daniel Landes (che aveva già ordinato delle donne rabbine ortodosse nel 2016) ha ordinato rabbino a Gerusalemme Daniel Atwood, a cui la Yeshivat Chovevei Torah aveva negato l’ordinazione pur dopo avergli fatto quasi completare il corso di studi. Non è stata data una spiegazione (non sarebbe nemmeno consigliabile motivare pubblicamente i dinieghi, perché si rischia di cadere nella diffamazione o nella “lashon ha-ra‘ = lingua malvagia”), ma l’interessato sostiene che sia stata la risposta dell’istituzione al suo coming out come gay, avvenuto quattro anni fa. 

rabbini gay

Rav Daniel Landes ha ritenuto che non ci fosse motivo per negare a Daniel Atwood la “smikhah = imposizione delle mani, ordinazione”, perciò ha ordinato il primo rabbino ortodosso già dichiaratosi gay (rabbini dichiaratisi dopo l’ordinazione ce n’erano già, a cominciare da Steven Greenberg) ed ha difeso la sua scelta con l’articolo We Orthodox Jews desperately need gay rabbis, che ora vi traduco – le traduzioni di parole ed espressioni ebraiche precedute dall’ “=” sono mie, come le parole tra parentesi quadre, salvo questa: [malvagio], che è dell’autore.

 Traduzione

GERUSALEMME (JTA) — Il 27 Maggio [2019], la Jewish Telegraphic Agency ha riferito che avrei ordinato uno studente rabbinico ortodosso e gay a cui fu negata dalla sua “yeshiva = accademia rabbinica” ortodossa la possibilità di ricevere la “smicha = imposizione delle mani, ordinazione”. Il 27 Maggio [2019] così feci, ordinando rav Daniel Atwood in una cerimonia a cui partecipavano oltre 200 persone.

Sono da molto tempo un rabbino ortodosso, e so che la mia decisione susciterà shock ed esasperazione in molti membri della comunità ortodossa.

Ma so anche che la nostra comunità ha un disperato bisogno di rabbini ortodossi gay, e noi stiamo ignorando questa esigenza della comunità a nostro rischio e pericolo.

Levitico 18:22, che afferma che “Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole” [Nuova Rivedutaaltre traduzioni cristiane] non è stato cassato dalla Torah. Ma questo precetto biblico non ci dà licenza di ignorare o maltrattare il significativo numero di ebrei attentamente osservanti che sono LGBTQ.

Sfortunatamente, spesso è accaduto proprio questo. L’approccio ortodosso contemporaneo a queste persone, con poche rimarchevoli eccezioni, si è dimostrato inutile o perfino pericoloso...


Raffaele Yona Ladu


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Considerazioni sulla proposta di legge contro l'omotransfobia

In questi giorni il mondo lgbtqia italiano è preso dall’entusiasmo per la proposta di legge contro l’omotransfobia presentata dall’onorevole Zan (PD), entusiasmo che riteniamo decisamente ingiustificato e fuori luogo. Se la legge dovesse passare, sarebbe sicuramente un passo avanti, ma si tratterebbe di un passo molto piccolo e incerto. 

legge zan omofobia

Presentata come compendio delle due precedenti proposte (una dello stesso Zan e l’altra del M5S), il testo abbandona quasi tutto ciò che di interessante c’era per ridurre le richieste al semplice ampliamento della legge sui crimini d’odio anche a quelli basati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Dell’idea, presente nella proposta grillina, di incaricare l’ISTAT di fare periodiche statistiche dei reati a sfondo omotransfobico (che avrebbe dato l’idea del fenomeno in modo incontrovertibile, disarmando coloro che sminuiscono questi crimini con la retorica del “caso isolato”) non c’è più traccia. Allo stesso modo è scomparsa l’idea di creare centri antiviolenza sul territorio per dare un reale aiuto alle vittime di omotransfobia. Restano solo le aggravanti per chi commettesse reati d’odio e una generica condanna dell’incitazione che, temiamo, resterà lettera morta anche qualora venisse approvata (basti vedere come vengono costantemente disattese le leggi contro la rifondazione di partiti fascisti e l’apologia di fascismo). Non c’è un solo accenno all’assistenza alle eventuali vittime (magra consolazione sapere che il proprio aggressore farà qualche mese di carcere in più, o dovrà pagare una multa, se poi si viene lasciati soli) e, soprattutto, non c’è nulla di preventivo: non un accenno a campagne educative nelle scuole, o sui media di stato, nulla contro i discorsi omotransfobici, nulla contro le terapie riparative. Si punisce solo (e con una multa non poi così pesante) l’incitazione all’odio e alla violenza e, sinceramente, ci sembra davvero troppo poco. Ma se pensiamo al fatto che il PD ha appena votato (insieme alle destre) il finanziamento delle scuole paritarie (per lo più cattoliche), capiamo facilmente il perché la proposta di legge sia stata ridotta a una cosuccia poco più che simbolica.
Perfino nei termini usati il relatore dimostra di essere arretrato rispetto al dibattito attuale: il testo parla di persone “lgbti”, escludendo asessuali e queer. E per fortuna che i piddini sono “progressisti”…


Enrico Proserpio


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giovedì 8 ottobre 2020

... E ci siamo sbagliati

 Introduzione

Il titolo originale dell’articolo (che qui vi traduco) della rabbina Noa Sattath, pubblicato su Forward, gloriosa rivista ebraico-americana, il 16 Giugno 2020, sarebbe “Speravamo che l’accettazione LGBTQ in Israele aiutasse i palestinesi. Ci siamo sbagliati” – ma abbreviare non fa mai male. Ecco ora la traduzione – le note tra parentesi quadre sono del traduttore. 

pride israele

 

Traduzione

La nostra teoria del cambiamento era che, se Gerusalemme sarà più tollerante verso la comunità LGBTQ, diventerà naturalmente più tollerante verso i palestinesi.

Sebbene il cambiamento progressista in Israele avvenga di rado e con lentezza, l’unica area in cui c’è un cambiamento coerentemente positivo è data dai diritti LGBTQ. Il Mese del Pride è un bel momento per riflettere sui successi passati e sulle sfide future del nostro movimento israeliano.

Il progresso negli ultimi vent’anni verso eguali diritti e la piena accettazione della comunità LGBT è la prova che la società israeliana può cambiare, se viene costretta. I successi recenti nel campo dei diritti LGBT comprendono una vittoria nel nostro equivalente del caso [americano] “Masterpiece Cakeshop” [una pasticceria di Lakewood, Colorado, che nel 2012 si era rifiutata di preparare la torta nuziale di un matrimonio gay. Il caso è finito davanti alla Corte Suprema USA col numero 16-111, e nel 2018 essa ha dato ragione alla pasticceria] – si tratta di una stamperia di Be’er Sheva‘ che è stata multata da un tribunale israeliano per essersi rifiutata di stampare volantini per un’organizzazione LGBTQ. Di quello che sembrava un caso particolare di rilievo locale abbiamo fatto un precedente nazionale contro le discriminazioni.

Nel 2005, quando il tribunale impose al Municipio di Gerusalemme di appendere le bandiere arcobaleno per la parata del Pride, la TV locale trasmise un servizio in cui si intervistavano dei gerosolimitani che proprio non sapevano che cosa simboleggiasse la bandiera. “È la bandiera drusa [che in effetti le assomiglia]?”, chiese nel 2003 uno degli intervistati in una strada di Gerusalemme. “È forse un simbolo della primavera?”, propose un altro. Quasi nessuno conosceva la bandiera e pochi sostenevano la comunità LGBT. La trasformazione della coscienza ed il cambiamento nella condizione giuridica della comunità LGBT è senza dubbio la vittoria liberale definitiva degli ultimi anni.

Per noi, gli attivisti che 15 anni fa guidavano la comunità LGBTQ a Gerusalemme, era chiaro che stavamo combattendo una battaglia giusta per i membri della nostra comunità, ma allo stesso tempo combattevamo per migliorare Gerusalemme in un senso assai più ampio.

La nostra teoria del cambiamento era semplice: quando Gerusalemme sarà più tollerante verso la comunità LGBTQ, diverrà naturalmente più tollerante verso i palestinesi... 

Raffaele Yona Ladu

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martedì 6 ottobre 2020

Jean Sénac: "Per una terra possibile"

 Nell’ottobre 2019, è uscito Per una terra possibile, di Jean Sénac (traduzione e cura di Ilaria Guidantoni; testi francesi a fronte; Sestri Levante 2019, Oltre Edizioni).  È l’edizione italiana di Pour une terre possible  (Marsa, Paris 1999). La pubblicazione dell’opera fa parte del progetto Jean Sénac, “il Pasolini d’Algeria”. Il parallelismo non è stato istituito solo da Oltre Edizioni [1] . Come recita il risvolto di copertina di Per una terra possibile, la poesia di Sénac è stata etichettata come “anticolonialista, militante socialista e identificata con un erotismo libertino e libertario.” Anche Sénac, come Pasolini, morì assassinato in circostanze misteriose. Algerino, cristiano e anarchico, si batté per realizzare uno Stato indipendente ove ogni diversità fosse accettata: anche la sua omosessualità

 Chi era Jean Sénac? 

jean sénac per una terra possibile

Jean Sénac nacque nel 1926 a Béni-Saf, piccolo porto minerario, poi da pesca. Sua madre era di origini spagnole e il padre (forse gitano) è tuttora sconosciuto. Nel 1929, la madre si risposò con un francese che diede il proprio cognome al figliastro. La propria condizione di “figlio illegittimo”, a ogni modo, influenzò Sénac, dandogli una chiave di lettura globale della sua vita. Fu infatti “illegittimo” e “meticcio” in qualsiasi situazione, non potendosi identificare né come colonizzatore, né come colonizzato. [2] Nel romanzo Ébauche du père (= “Ritratto incompiuto del padre”), il poeta rivendicò la propria “algerinità” come identità multipla: “Io sono di questo Paese. Io sono nato arabo, spagnolo, berbero, ebreo, francese.” [3] Il suo essere “meticcio” riguarda anche la scrittura: si considerava un autore algerino che scriveva in francese... [4]


Erica Gazzoldi


[1] Lo si ritrova, per esempio, anche nella prefazione di René de Ceccatty a: Jean Sénac, OEuvres poétiques, Actes Sud, 2019. Ne parla Serge Martin, in: «Jean Sénac: le poème qui fait le plein de corps», Voix et relation, 20/04/2019 . URL : https://ver.hypotheses.org/3269

[2] Cfr. Blandine Valfort, « Jean Sénac : l’Algérie au corps », La Vie des idées , 19 juillet 2013. ISSN : 2105-3030. URL : https://laviedesidees.fr/Jean-Senac-l-Algerie-au-corps.html

[3] Ibidem.

[4] Ibid.


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venerdì 2 ottobre 2020

Le "etichette" servono davvero?

 Ed eccola qui. 

etichette lgbt

Giunge puntuale come la cacarella – che, forse, sarebbe ancora preferibile – all'affacciarsi del Pride Month, l'eterna manfrina sulle "etichette LGBT" e su quanto esse siano fastidiose, ridicole e inutili.

 

"Sono troppe, fanno ridere, non si capiscono, ogni anno ne spuntano di nuove. Cheppalle!"

 

Ovviamente, senza dimenticare le battute trite e ritrite (che ormai non fanno ridere più nessuno) sulla lunghezza della sigla LGBTQIA+.

Guarda caso, questo discorso salta sempre fuori avendo come oggetto di critica le cosiddette "minoranze nelle minoranze", ovvero quelle soggettività meno note e – forse? – meno numerose della comunità: persone pansessuali, panromantiche e aromantiche, asessuali, intersex, non-binary, poliamorose. L'esistenza di una ricca varietà di identità di genere, in particolare, sembra proprio dare fastidio e suscitare critiche feroci.

Insomma: già ci sono gay e lesbiche e tante grazie che ogni tanto ci ficchiamo in mezzo trans e bisessuali; questi altri che vogliono?

 

LE MOTO SÌ. LE FROCIE NO.

Ho riscontrato, in particolare, che ci sono due categorie specifiche di persone che sembrano essere gravemente turbate dall'ampliarsi di termini che descrivono genere e identità:

1.                  persone cis-etero, maschi in particolare – manco a dirlo, non me lo sarei MAI aspettato;

2.                 persone della comunità più conservatrici che imputano alle varietà identitarie del movimento qualsiasi problema interno al movimento stesso.

Ho frequentato per un certo periodo diversi biker che si sono tutti premurati di spiegarmi le sostanziali differenze tra diversi tipi di moto e tutta la tassonomia Harley-Davidson perché – giustissimamente e ci mancherebbe pure – uno Sporster non è certo un Panhead degli anni '60. Ho frequentato anche parecchi metallari e musicisti che – sempre giustamente – tengono moltissimo a differenziare i diversi sottogeneri del metal, molti dei quali mi sono talvolta stati spiegati, anche se il mio interesse verso l'argomento era, in quel momento, tendente allo zero – ma vuoi mica non ascoltare il maschiochespiegacose?!

Queste persone sono perlopiù le stesse che, pregate di usare il genere giusto riferendomi alla ragazza che frequentavo – una donna transgender, quindi MtF – o quando spiegavo che sono una persona di identità non binaria, mi rispondevano seccati che a loro non interessava:

 

"Troppi termini nuovi da imparare".

"Ah, ma io non riesco a stare appresso a tutte queste parole che vi inventate ogni volta."

"Ok. Ma io dico così ("frocio", "maschia", "travone" o vai di misgendering selvaggio)."

 

Insomma; per la tua moto del cazzo i termini li impari volentieri; per mostrare un minimo di rispetto alla persona che hai di fronte no...


Giulia Cosmo Fragapane


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Perché il Pride ha funzionato

 Samuel Delaney è un noto scrittore di fantascienza omosessuale. Nella sua autobiografia The Motion of Light in Water, ci racconta di un episodio, avvenuto negli anni in cui il moderno movimento LGBT+ doveva ancora spiegare le ali, che ci permette di capire come e perché funzioni il giogo dell’oppressione eteronormativa e in che modo il Pride sia stato e rimanga l’unico modo per liberarcene. 

perché il pride ha funzionato

Siamo negli Stati Uniti, in un tempo in cui gli incontri tra uomini omosessuali avvenivano, per forza di cose, nel buio imbarazzato di un parcheggio, nascosti tra un autotreno e l’altro: giusto per il tempo necessario a strappare un fugace barlume di piacere al chiaro di luna.

Ad un tratto, la sirena ficcanaso della polizia colora lo spiazzo di blu e rosso, mentre Delaney e compagnia fuggono mimetizzandosi tra le ombre fuori dal parcheggio.

Delaney è sorpreso: il giorno seguente, i giornali riporteranno solo una decina di arresti; ma, tra i fuggitivi, lo scrittore conta quasi un centinaio di uomini.

Tra le file di veicoli parcheggiati, era difficile vedere poco più del partner con cui si stava passando la serata e nessuno degli avventori aveva idea di quante persone fossero effettivamente nascoste in quel parcheggio: il numero era semplicemente sbalorditivo...


Marco Sassaro


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mercoledì 30 settembre 2020

Elogio del piacere: per un'erotica solare

 Prendo spunto del titolo di questo numero della rivista per riprendere in mano e ripercorrere insieme a voi la proposta che il filosofo francese Michel Onfray presentò anni orsono in un suo testo (Michel Onfray, Teoria del corpo amoroso. Per un’erotica solare, 2006, Roma, Fazi Editore). Un libro che fu elogiato dalla critica, ma - ahimè - rimase inascoltato dalla cultura e società, viste le recrudescenze puritane cui stiamo assistendo negli ultimi tempi, non solo in Italia. 

elogio del piacere

Premessa.

Come dichiara il filosofo all’inizio dell’opera, la sua proposta va nella direzione di un recupero di alcune antiche correnti filosofiche, allo scopo di abbattere il modello etico ancora dominante.

Dichiara Onfray: “La prima tappa, critica, del mio pensiero implica una decostruzione dell’ideale ascetico” (idem, p. 18). Un modello che nasce dal platonismo, viene ripreso dei Padri della Chiesa e, attraverso il cristianesimo, si insinua così profondamente nella cultura occidentale da giungere fino a noi, in un serpeggiante disprezzo verso il sesso. In particolare, nei primi capitoli del libro, il filosofo francese mina dalle fondamenta alcuni presupposti platonici in merito al desiderio, che hanno portato con sé nei secoli quell’opposizione tra corpo e spirito ancora presente oggi nella nostra società che considera “osceni” gli atti sessuali e la nudità. In seguito, aggiunge Onfray: “la seconda tappa, propositiva, propone un’alternativa all’ordine dominante grazie alla formulazione di un materialismo edonista” (idem, p. 19). 

Ma… seguiamo il filosofo passo passo in questa sua proposta.

Alla ricerca della dolce metà perduta.

Un primo elemento che Onfray evidenzia, e sottopone a dura critica, è l’interpretazione del desiderio come mancanza. Scorrendo l’opera di Platone “Il Simposio”, il filosofo francese ricorda al lettore che a un certo punto del dialogo un commensale, Aristofane, espone la propria ipotesi sull’origine del desiderio, raccontando il mito greco dell’androgino. Ecco in sintesi il racconto: nell’età primitiva, tutti gli uomini avevano una forma rotonda, con quattro braccia, quattro gambe, due volti e quattro orecchie. Essi si muovevano avanti e indietro con movimenti circolari. A causa, però, del loro crescente potere che aveva finito per minacciare l’Olimpo, Zeus si consultò con gli altri dei e decisero di indebolire gli uomini tagliandoli a metà. Da quel momento in poi ogni pezzo, desideroso della totalità distrutta, cerca e desidera l’altra parte per realizzare il tutto. Da questo mito risulta una interpretazione del desiderio come mancanza (dell’altra metà). Come risultato il desiderio assume una connotazione fondamentalmente negativa: è una sofferenza/mancanza che deve essere sanata... 


Mario Bonfanti


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domenica 27 settembre 2020

Da vittime a carnefici: cos'è l'acefobia

 Da anni, giustamente, le comunità omosessuali e bisessuali denunciano gli orrori delle terapie riparative, degli stupri correttivi e di tutti i parafernali di abuso travestiti da pseudo-scienza per “guarire” dal male dell'omosessualità. 

acefobia asexual exclusion

Eppure, per una fetta della comunità omo\bi e diversi attivisti, sembra che il diritto a non subire torture e vivere serenamente il proprio orientamento erotico-affettivo non valga per le persone asessuali (o ace). Negli scorsi mesi, ho assistito con estremo sgomento ad un’escalation di violenza verbale, stalking e letterale persecuzione ai danni della comunità asessuale.

Si può cominciare col caso (scoppiato in rete) di un attivista gay che ha scritto pezzi in cui inneggiava al trattamento psichiatrico obbligatorio delle persone ace e che (quando diverse persone hanno cercato di interagire con lui per tentare di spiegare perché si sbagliasse) si è dato a vere e proprie campagne di stalking e molestie sessuali online. Per intenderci: parliamo di insulti ossessivi, minacce di stupro correttivo, invio non richiesto di fotografie delle proprie parti intime e altre azioni del genere.

 

Qualche reazione a difesa della comunità ace è stata intrapresa da singoli individui in disaccordo con questa politica dell'odio, dalle associazioni ace stesse e di alcuni gruppi online di persone civili. Le grandi associazioni LGBT+, quelle che pretendono di rappresentare la comunità tutta, sono rimaste in un agghiacciante silenzio.

Cosa che ha dato la stura ad un fiume escrementizio nel quale anche attivisti storici si sono sentiti in dovere di aggiungersi al coro di chi, come minimo, invoca il trattamento sanitario obbligatorio.

Questi sono esempi diventati celebri grazie alla cassa di risonanza dei social media; ma la realtà che vivono le persone asessuali è fatta di micro e macro violenze quotidiane. È fatta di energumen* che si sentono in dovere di contattarle per convincerle che hanno solo bisogno di scopare per cambiare idea, per informarle che con un bello stupro poi non potranno più fare a meno di fare sesso, di comunicare (dall'alto della loro laurea all'università della vita) che sono malate e hanno bisogno di cure. Di molestie via web o di persona da parte di una grossa fetta di individui assolutamente convinti di dover “convertire” la persona asessuale, di doverle imporre non solo il sesso in sé per sé, ma anche il “corretto” modo di viverlo.

Sono i medesimi comportamenti di cui le comunità omo e bisessuali sono stati vittime per decenni. Se dici che un gay è malato, sei un mostro. Se dici che un lesbica ha solo bisogno di provare a essere penetrata da un vero pene per tornare etero, sei un aguzzino. Giustamente, la comunità tutta ti metterà alla gogna. Nel momento in cui questi comportamenti palesemente discriminatori vengono messi in atto contro la comunità asessuale, il silenzio è assordante, oppure ci si unisce al coro dell'infamia...


Aleister Erika Lupano


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venerdì 18 settembre 2020

La quarantena e le persone "rainbow"

 Per le persone LGBT, la quarantena ha rappresentato un miglioramento o un peggioramento di vita? Quali differenze tra velati e dichiarati? Cosa cambia, a seconda di chi sono i nostri “compagni di quarantena”? 

quarantena lgbt

 Ho temporeggiato, prima di scrivere su come noi persone LGBT (e in particolare T) stiamo vivendo questa quarantena, perché partecipare ai gruppi di condivisione e socializzazione virtuali mi ha dato la possibilità di confrontarmi con altre persone in condizioni simili alla mia.


 La quarantena? Un miglioramento della qualità della vita

 Personalmente, consideravo la quarantena un miglioramento alla mia vita. Si erano autoeliminate un sacco di prassi stressanti e disforiche che accettavo come dato di fatto ineliminabile: il “ciao cara” della signora del bar di fronte all’ufficio, misgendering vari, non poter mostrare le gambe pelose in estate, non potermi far crescere “il pizzetto”, dover stare fasciato per intere giornate, e così via.

Lo smart working permetteva di avere con colleghi, capi e clienti i contatti minimi e, quindi, di evitare tutti gli episodi di involontaria disforia che queste persone, loro malgrado ci causavano. Credo sia stato così anche per chi (universitario o liceale) si è approcciando alla didattica online.

 

La vita domestica: dipende da con chi sei…

 Per quanto riguarda invece le dinamiche inter-relazionali in casa, credo che molto sia dipeso dal “con chi” abbiamo vissuto la quarantena.

Penso che la mia sensazione di benessere dipendesse dal fatto che ho trascorso la quarantena col partner, una persona che ha un orientamento rivolto verso il mio genere (gli uomini) e che come uomo mi ha conosciuto e scelto.
Penso che sia stata difficile per chi, invece, era impegnato in relazioni in cui c’era una cancellazione del proprio orientamento sessuale e/o identità di genere, o (caso ancor peggiore) in cui la persona doveva condividere gli spazi con la famiglia d’origine, per problemi economici, o per via della loro salute o bisogno di assistenza, soprattutto nel caso in cui queste persone non conoscono o non accettano l’identità di genere e/o l’orientamento sessuale della persona rainbow...


Nathan


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giovedì 10 settembre 2020

Bohemian Rhapsody

Freddie Mercury (e non Freddy, cosa che fa arrabbiare tantissimo i suoi fan!) rivive in Bohemian Rapsody, biopic dagli incassi milionari e in grado di suscitare nello spettatore forti emozioni. Brividi, lacrime, commozione - ma anche dissenso. Sì, perché chi conosce bene i Queen non ammette errori: Freddie ha incontrato il suo compagno in un locale gay e non durante un party; Freddie ha scoperto di essere sieropositivo nel 1988 e non prima del Live Aid... 

bohemian rhapsody film

Su Youtube, è possibile trovare innumerevoli video recensioni e, sotto i filmati, fiumi e fiumi di parole. C’è chi ha apprezzato il film, chi non lo considera degno di nota, chi tornerebbe a vederlo altre dieci volte e chi invece ha scoperto Freddie e i Queen grazie alla magia del cinema.

Bohemian Rapsody è un capolavoro?

Il film, nonostante le imprecisioni, trascina e scorre veloce, tra canzoni indimenticabili e scene rese immortali dalla - vera - voce di Mister Mercury...


Luca Foglia Leveque


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giovedì 3 settembre 2020

Esce "Il Simposio - La libertà del sole"

 Il titolo di questo Simposio fa venire in mente l’estate, la stagione del Pride - che, quest’anno, ha dovuto fare i conti con l’emergenza Covid. Pensare e scrivere, a ogni modo, non è interdetto e non diffonde il contagio. Ecco che la nostra esistenza e la nostra visibilità si sono espresse in questi articoli.

           


La libertà del sole… quella di risplendere sotto gli occhi di tutti; quella di creare (grazie alle gocciole d’acqua sospese in aria) i colori dell’arcobaleno: simbolo del movimento LGBT, ma anche famoso per aver accompagnato il motto “Andrà tutto bene”, durante la quarantena.

            Era libero come il sole Freddie Mercury, quando brillava nelle proprie performance. La nostra rubrica di cultura pop parla di Bohemian Rhapsody, il film che (tra diverse polemiche) ha fatto rivivere il suo mito. Della quarantena parla invece l’articolo di Nathan, mostrando cosa essa abbia significato per le persone LGBT: liberazione da dinamiche sociali tossiche (in alcuni casi) e prigione (in altri).

            La prigione peggiore, però, è quella che “nega il sole” di una visibilità rispettata a “minoranze nella minoranza”: come avviene agli asessuali, secondo Aleister Erika Lupano. È una nostra nuova penna, a cui diamo il benvenuto, così come a Giulia Cosmo Fragapane e Marco Sassaro.

Ormai classici (per la nostra rivista) sono invece i pezzi sulla sacralità del piacere: vedremo come l’eros possa farsi “libero” e “solare”.

            Dal godere al dovere: doverose considerazioni sulla proposta di legge contro l’omotransfobia avanzata dall’On. Zan.

            Il riferimento al sole presente nel titolo deve molto all’autore trattato nella nostra rubrica di letteratura: il poeta algerino Jean Sénac, che si firmava proprio con un sole stilizzato e cantava (fra l’altro) dell’ “amante di Helios” (= “sole”, in greco). Questo personaggio è un poeta guerriero che combatte per una terra in cui sia possibile la libertà: libertà dal colonialismo, ma anche dall’omofobia.

            Impossibile sembrerebbe invece il sogno di un Israele contemporaneamente aperto alle realtà LGBT e al rapporto sereno con la comunità palestinese…

            Decisamente meno utopico di quanto non possa sembrare è il potenziale liberatorio del Pride: un’occasione per “uscire dal buio” e vedere realmente “quanti siamo”, in tutta la dirompenza della folla.

            Nonostante la comunità LGBT sia ormai impossibile da ignorare, esistono ancora realtà (come quella degli ebrei ortodossi) che necessitano di affrontare l’esistenza di minoranze sessuali al proprio interno. Possono ancora permettersi di chiudere gli occhi o dovranno… guardare in faccia il sole?

Di certo, la luce della consapevolezza non può fare a meno delle parole, da sempre strumento per delineare nettamente la realtà nella nostra mente. Ecco perché tutte quelle “etichette” all’interno del “cappello LGBT” esistono e servono.

Un solo augurio: siate liberi di esistere… e di splendere.


Disponibile su Amazon come ebook Kindle e cartaceo.

giovedì 16 luglio 2020

Aimée e Jaguar


aimée & jaguarAlla fine degli anni novanta la scrittrice Erica Fischer raccolse le memorie dell’ultraottantenne Lilly Wust, anziana berlinese sopravvissuta alla guerra, ai bombardamenti e anche all’amore...
Nel 1998 il regista Max Farberbock, dopo aver letto il libro Aimée e Jaguar, portò sul grande schermo l’omonimo film. 
È il 1943 e il cielo di Berlino, durante la notte, si colora di arancio e prende fuoco. I bombardamenti costringono gli abitanti a rifugiarsi nelle cantine e nei bunker. Nonostante la guerra e le macerie, nonostante l’orrore, Felice Schragenheim cerca di vivere pienamente le sue giornate. Scrive per un giornale del partito nazista, fuma sigarette a non finire, sorride il più possibile... e soprattutto nasconde la sua vera identità. Felice è ebrea ed assieme ad alcune amiche fa parte della resistenza. Cela il suo segreto, il suo essere una stella gialla in un cielo che accetta solo astri ariani...
Pone un velo sulle sue origini ma vive comunque un’altra diversità: è lesbica. Ama, bacia, flirta, fa l’amore... il suo essere donna è la vera bomba, l’esplosione positiva, dei giorni che vive. L’incontro con Lilly Wust, ariana e madre di 4 figli, metterà la vita di Felice in pericolo. Può l’amore essere più importante dell’istinto di sopravvivenza?

[Continua...]

Luca Foglia Leveque


  Il Simposio - Non è un Paese per... è disponibile su Amazon nei formati Kindle e cartaceo.

giovedì 9 luglio 2020

"Nel terzo tempo": amore e rugby secondo Renzo Pacini

Il rugby, in Italia, è poco conosciuto e seguito a livello mediatico, per via della soverchiante popolarità del calcio. Ma non manca di appassionati che ne conoscono il valore come scuola di vita. Uno di loro è Renzo Pacini, autore del romanzo che andremo a recensire: Nel terzo tempo  (Edizioni del Boccale, 2018). 
nel terzo tempo renzo pacini
            Pacini è nato a Livorno nel 1950. È stato microbiologo per quarant’anni; ama molto la musica e lo sport. Sempre per i tipi delle Edizioni del Boccale, nel 2017, ha pubblicato Tutto inizia dal basso. Così come il secondo romanzo, esso si ispira a reali esperienze di vita, vissute direttamente o indirettamente. Per quanto riguarda il rugby, lo sguardo di Pacini è stato per molti anni quello di genitore di due giocatori.
            Il titolo della nuova opera allude al fatto che una partita di rugby sia abitualmente giocata in due tempi da quaranta minuti ciascuno. Il “terzo tempo” è il momento conviviale alla fine dell’incontro, in cui le squadre avversarie si dimostrano reciproca stima e riconfermano la solidarietà in nome del comune amore per quello sport. Naturalmente, è questa l’occasione in cui emerge maggiormente lo spessore umano dei giocatori e in cui si creano rapporti. L’autore descrive il “terzo tempo” come momento di grande fascino, che racchiude in nuce tutto il significato di questo sport, assai poco individualistico e celebrativo, fatto di sacrifici e collaborazione. La possibilità di godere di un “terzo tempo” è anche un’occasione di riscatto dall’amarezza della sconfitta: un’occasione che la vita non sempre offre.
            Il romanzo narra di una squadra di serie C1, i Lions Amaranto Livorno, presentandoli in trasferta e diretti verso Gubbio. Da quella scena, emergono lentamente i dettagli della vita da rugbisti e i profili dei giocatori, sia nuovi che veterani... 


[Continua]


Erica Gazzoldi



 Il Simposio - Non è un Paese per... è disponibile su Amazon nei formati Kindle e cartaceo.

giovedì 2 luglio 2020

Esce "Il Simposio - Speciale racconti"!

Car* tutt*, vi auguriamo una buona estate nel modo migliore che conosciamo: ovvero, inaugurando il nostro numero dedicato ai racconti dei nostri redattori, già da tempo annunciato. Buona lettura, ovunque passerete le vacanze! 
il simposio lgbt speciale racconti


Il presente numero nasce da un’idea di Nathan Bonnì, membro fondatore di questa rivista. Dato che ogni redattore del Simposio scrive soprattutto per passione, perché non offrire ai lettori un assaggio dei nostri diversi estri?
            Ecco che approda sulle nostre pagine Due cuori e un’apocalisse zombie, racconto umoristico-distopico in cui la vera catastrofe è dover affrontare le complicazioni dei sentimenti e il lato oscuro del genere umano. Più romantico è Fare colazione tra le nuvole, che riprende l’idea fuori moda (ma sempre efficace) del diario e la porta sorprendentemente a esiti fantascientifici e distopici.
            Lettera ad Annemarie ripercorre invece la vicenda umana di Annemarie  Schwarzenbach (Zurigo, 1908 – Sils im Engadin, 1942) : scrittrice, fotografa, giornalista, donna e lesbica.
            Ne Il telo della felicità, una matura donna transgender ripassa per i luoghi che l’hanno vista “uomo apparente”, durante la sua giovinezza.
            Ballata è il racconto trasognato (e un po’ cupo) di un’improvvisa esperienza erotica fra una giovane cameriera e un’avventrice misteriosa… forse, un’incarnazione della Morte che ammonisce a vivere.
            Sempre goticheggiante è La vampira e la sacerdotessa, storia dell’amore impossibile (?) fra una creatura demoniaca e una presbitera veterocattolica.
            Ille mihi par esse deo videtur  mescola risonanze catulliane alla Cabala, il tutto in una vicenda di amore saffico.
            Disintegration è una storia di silenzi e rapporti irrisolti, scandita dalle canzoni dell’omonimo album dei Cure.
         Grazia  mostra cosa possa significare essere contemporaneamente ebrea e transgender in un’odierna megalopoli.

            Nove racconti con sguardi inediti sulla realtà LGBT, che speriamo possano toccare positivamente le vostre corde. Buona lettura!

Il Simposio - Speciale racconti è disponibile su Amazon nei formati Kindle e cartaceo.