martedì 31 marzo 2020

Quelle due: la sfida di Audrey Hepburn e Shirley Maclaine contro l’America puritana

Broadway, 20 novembre 1934: The Children’s Hour debutta sul palcoscenico, portando il nome di Lillian Hellman sulla bocca di tutti. L’autrice, al suo primo testo teatrale, conquistò la critica e lo spettacolo un successo enorme, tanto da essere replicato per ben 691 volte. Hollywood, un paio di anni dopo, proverà a portare sul grande schermo il testo della Hellaman, ma l’argomento trattato – per l’epoca – era veramente troppo…
L’omosessualità femminile nelle sale cinematografiche americane? No, è presto, prestissimo. La trama venne stravolta e il piatto forte sostituito con la solita minestrina riscaldata: rivalità tra due donne innamorate dello stesso uomo. Il regista William Wyler (Ben Hur, Funny Girl… ) non contento di quel suo film (La calunnia) nel 1961 decise di riportare al cinema il testo della Hellman ma senza edulcorare trama e dramma… 
quelle due film

Martha e Karen, amiche dall’adolescenza, condividono la stessa passione per l’insegnamento. Assieme aprono una scuola tutta al femminile, destinata ad accogliere bambine dell’alta società. Gli affari, finalmente, sembrano andare bene. Le spese sono finite e per la prima volta i conti sono in attivo. Le ragazzine suonano il pianoforte, si esibiscono davanti ai genitori pieni d’ammirazione. Tutto sembra filare per il verso giusto, il cuore delle due giovani insegnanti è al settimo cielo. Per festeggiare organizzano una festa per ragazzine e genitori. Le allieve studiano musica, la lingua francese e si dilettano nell’arte della recitazione. Tra le bambine, e non certo per i risultati scolastici, spicca Mary Tilford: è insolente, bugiarda, pettegola, viziata e molto vendicativa. Viene ripresa spesso per il suo modo di fare e per le piccole bugie con cui cerca di nascondere le sue marachelle...
Una parola, una frase di troppo, una cattiveria urlata dalla zia di Martha – anziana insegnante di recitazione e donna superficiale – durante una lite con la nipote e la ghiotta occasione per lasciare la scuola è servita: Mary approfitta di ciò che ha sentito per allestire un intrigo, uno scandalo, che vedrebbe le due giovani maestre legate da una relazione amorosa... 


Luca Foglia Leveque

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venerdì 27 marzo 2020

Le famiglie, non molto “tradizionali”, della Bibbia


Molte chiese cristiane fanno un gran parlare della “famiglia tradizionale”, a volte definita perfino “naturale”, difendendo a spada tratta il modello occidentale di famiglia, quella formata da papà, mamma e figli, che tutti ben conosciamo. Ma siamo proprio sicuri che la tradizione religiosa biblica sia proprio questa? 
famiglie della bibbia
Se leggiamo la Bibbia, anche solo superficialmente, risulta chiaro che i modelli di famiglia sono mutati nel corso dei secoli e che non esiste, quindi, un modello che si possa dire “biblico”.
Le famiglie più diverse da quelle moderne sono quelle più lontane nel tempo, quelle di cui si narra nel libro della Genesi. Molto indicativa è la storia di Giacobbe, detto Israele, padre dei dodici Patriarchi del popolo eletto, dalla quale partiremo.
Isacco aveva due figli, Esaù e Giacobbe. Poiché Esaù aveva preso moglie fra le hittite, scandalizzando la madre, Isacco mandò Giacobbe a prendere moglie fra i suoi:

Poi Rebecca disse a Isacco: «Ho disgusto della mia vita a causa di queste donne hittite: se Giacobbe prende moglie tra le hittite come queste, tra le figlie del paese, a che mi giova la vita?»
Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su, va’ in Paddan-Aram, nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi di là la moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre.[1]

Giacobbe obbedisce al padre e parte. Giunto nel paese di Làbano, egli conosce Rachele, figlia dello zio, e se innamora. Ma le cose non vanno esattamente come egli desidera:

Poi Làbano disse a Giacobbe: «Poiché sei mio parente, mi dovrai forse servire gratuitamente? Indicami quale deve essere il tuo salario». Ora Làbano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la più piccola si chiamava Rachele. Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto, perciò Giacobbe amava Rachele. Disse dunque: «Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore». Rispose Làbano: «Preferisco darla a te piuttosto che a un estraneo. Rimani con me». Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei. Poi Giacobbe disse a Làbano: «Dammi la mia sposa perché il mio tempo è compiuto e voglio unirmi a lei». Allora Làbano radunò tutti gli uomini del luogo e diede un banchetto. Ma quando fu sera, egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei.[2]

Deluso e amareggiato per l’inganno, Giacobbe protesta con il suocero, il quale risponde:

Rispose Làbano: «Non si usa far così nel nostro paese, dare, cioè, la più piccola prima della maggiore. Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche quest’altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni». Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale e allora Làbano gli diede in moglie la figlia Rachele.[3]

Vediamo già in questi pochi passi diversi elementi in contrasto con ciò che la religione cristiana sostiene oggi in materia di famiglia. Tanto per cominciare, Giacobbe è bigamo. Nel libro della Genesi non troviamo nulla che ci faccia pensare a una condanna della poligamia. Anche Esaù, fratello di Giacobbe, ha più mogli, il che non crea nessun problema ai suoi famigliari...




[1] Genesi, capitolo 27, versetto 46 e capitolo 28, versetti 1 – 2, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.
[2] Genesi, capitolo 29, versetti 15 – 23, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.
[3] Genesi, capitolo 29, versetti 26 – 30, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

Padre Enrico Proserpio

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mercoledì 25 marzo 2020

Perché dà fastidio che una persona LGBT abbia figli/eredi


Gentili readers,
penserete che, come ogni anno, io sia incattivito dal Natale e dalle implicazioni che esso comporta.
Forse, penserete che il problema sia il rapporto con la mia famiglia d’origine, ma neanche questa risposta è corretta. 

famiglie arcobaleno

Zia Frocia: un’analisi antropologica

Anni fa, ho scritto un pezzo sullo “zio velato” alla tavolata famigliare del Natale (era il 2014 ed ero giovane e stronzo almeno quanto adesso), ma oggi desidero ancor maggiormente analizzare la figura della persona LGBT nella famiglia “allargata” d’origine,  nella provincia italiana (e non), e non solo se velata.
La persona LGBT, spesso single o in legami non tanto pubblicizzati e legittimati, viene vista in famiglia come una “simpatica” appendice, che dà colore alle feste familiari, in cui si instaura un clima di “don’t ask, don’t tell“: un po’ quello che si instaura per i folkloristici gay televisivi, Rai e Mediaset, truccatori e astrologi vari, per intenderci.
Questa persona può essere vista dai familiari in due modi:
– nel primo caso, non viene neanche ipotizzato che questa persona sia LGBT, perché non vengono conosciute ulteriori opzioni all’essere etero accasati/genitori, oppure “single che non hanno trovato/non troveranno una persona (di sesso opposto)”.
– nel secondo caso, tutti sanno ma fanno finta di non sapere, perché ciò che non può avere (famiglia, figli, eredi, un marito/moglie) potrà essere usato per usare la persona (svilupperò questa parte nella trattazione).
Useremo “Zia Frocia” per indicare la persona LGBT in famiglia: l’uomo ftm non med, il non binary, la lesbica butch, la persona LGBT “XX” vista come “la bruttina che non ha trovato l’amore“, ma anche l’allegra checca che, essendo sensibile, sarà adorabile coi nipoti...

Nathan


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lunedì 16 marzo 2020

Due pub, tre poeti e un desiderio


“Omosessualità” e “letteratura” sono due termini spesso accostati: probabilmente, perché l’arte è proprio il portale ideale da cui far emergere le proprie pulsioni senza essere accusati di squallore. O perché agli artisti la censura del senso comune concede più facilmente di poter essere “diversi”, “tanto si sa che sono strani” (come vuole un luogo comune).
            Comunque sia, alcuni fra i più illustri personaggi notoriamente omosessuali sono poeti. A tre di loro, Franco Buffoni ha voluto dedicare un volumetto biografico: Due pub, tre poeti e un desiderio. Per i cinquant’anni di Stonewall (1969-2019) e la nascita dei Pride  (Milano 2019, Marcos y Marcos). 
franco buffoni due pub tre poeti e un desiderio
            I tre poeti sono: George Gordon Byron (1788-1824); Oscar Wilde (1854-1900); Wystan Hugh Auden (1907-1973). Come recita la quarta di copertina, le loro vicende vengono narrate da Buffoni come se le loro tre vite fossero una sola. Ebbero in comune il fatto di essere “poeti e uomini d’azione, grandi narcisisti e personaggi pubblici: presero coraggiose posizioni politiche e civili e le difesero, vennero esaltati, adorati, ma conobbero anche l’esilio e la polvere” (dalla quarta di copertina). L’unione delle loro biografie è anche uno scorcio di storia dell’Inghilterra: come ricorda l’autore, qui l’omofobia è attualmente un reato, ma (fino a cinquant’anni fa) era reato l’omosessualità.
            Dei due pub, uno (ovviamente) è lo Stonewall Inn di Christopher Street a New York, che diede il proprio nome ai primi moti di liberazione delle minoranze sessuali (1969). L’altro è lo White Swan di Vere Street a Londra. Qui, l’8 luglio 1810, la polizia fece irruzione e trovò il rev. John Church intento a celebrare un matrimonio fra due uomini. Ecco cosa si celava dietro l’esclusività del locale, che era riservato a clienti “iniziati”: la possibilità di incontri omosessuali per uomini. Ne derivarono due esecuzioni capitali precedute da gogna e una serie di condanne al carcere duro, sempre precedute da gogna. Quest’ultima era una pena particolarmente dura per chi era accusato di sodomia: i passanti, ben lungi dall’essere indulgenti come poteva avvenire in altri casi, amavano scagliarsi contro gli omosessuali così esposti, sfigurandoli e provocando loro gravi ferite, se non la morte. Non parliamo poi dei conseguenti suicidi, dei figli costretti a cambiare cognome, delle famiglie ridotte in miseria. Di tutto questo parla Buffoni. Due pub, due simboli della condizione delle minoranze sessuali, fra repressione e ribellione. Quanto al desiderio, non c’è bisogno di spiegare quale sia: è l’attrazione erotica per le persone del proprio sesso...

Erica Gazzoldi


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lunedì 9 marzo 2020

I 10 travel blogger LGBT che dovresti seguire su Instagram

Viaggiare può avere diversi significati, cosicché anche il viaggio visto da una prospettiva LGBT può contenere innumerevoli sfumature. Dal dandy al backpacker, dalla diva all’escursionista solitario, qui troverai i 10 profili Instagram che dovresti seguire!

@thegaytraveler 





Giornalista freelance, @thegaytraveler risiede nella capitale degli Stati Uniti, Washington D.C , e ama mettersi in viaggio per le mete più disparate dispensando consigli ai suoi numerosi followers. Raccomandato in particolare a chi ama il buon cibo e la bella vita… con un pizzico di trasgressione!

@thegayhomeless



Zaino in spalla e budget ristretto, @thegayhomeless è continuamente in viaggio cercando di vivere a stretto contatto con la gente del luogo. Dai canali di Amsterdam agli slum delle Filippine, passando per le strade in tumulto di Hong Kong, chi ama l’avventura non se lo può perdere...



Damiano Dario Ghiglino


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lunedì 2 marzo 2020

Corpus hominis: sacra nudità... oltre ogni velo


Il corpo umano nudo ha da sempre, nelle diverse culture umane, suscitato da una parte fascino, attrazione, curiosità e, dall’altra, imbarazzo, vergogna, timore.
Vorrei con questo articolo fare una rapidissima carrellata di alcuni atteggiamenti della nostra cultura occidentale nei confronti della sessualità e concludere con alcuni ricordi personali.
sacra nudità


In principio...
Nella Bibbia, nel libro della Genesi, si legge di Adamo ed Eva, che “tutti e due erano nudi e non ne provavano vergogna” (Gen. 2, 25). La condizione originaria dell’umanità - secondo la tradizione ebraica - era, quindi, connotata da una candida nudità, simbolo di trasparenza e innocenza davanti a sé e a Dio. Una condizione presto perduta a causa dell’assunzione del frutto proibito posto in mezzo al giardino, che, introducendo nell’umanità il concetto di bene/male, ha infranto questa illibatezza primigenia macchiandola per sempre. Da quel momento, prosegue il testo sacro “si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi” (Gen. 3, 7).

Nella cultura greca.
In alcune antiche culture mediterranee, anche ben oltre l'epoca preistorica, come ad esempio nella civiltà minoica, la nudità atletica di uomini e ragazzi era perfettamente naturale.
Anche a Sparta vigevano codici rigorosi per la formazione dei giovani che imponevano l'esercizio fisico da svolgersi completamente nudi; e gli atleti dovevano competere nudi in tutti gli eventi sportivi pubblici. Così come gli uomini, a volte anche le donne spartane partecipavano nude alle processioni e feste religiose in pubblico.
Durante i giochi olimpici antichi e gli altri giochi panellenici, dove gareggiavano atleti provenienti da tutto il mondo greco (dalla Magna Grecia alle colonie più lontane), quasi tutte le discipline prescrivevano la nudità completa.
Anche in certe cerimonie religiose veniva praticata la nudità; la statua del Moscophoros (portatore del vitello), residuo arcaico trovato nell'acropoli di Atene, raffigura, per esempio, un giovane uomo che trasporta un vitello sulle spalle verso l'altare del sacrificio...

Mario Bonfanti

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