mercoledì 27 giugno 2018

"Essere gay in Honduras" di Damiano Dario Ghiglino

Tra prostituzione, sequestri e pandillas nella città più pericolosa al mondo

Mi chiamo Harry Evelio e sono nato nel febbraio 1989 a El Progreso, Honduras, ma ho sempre abitato a San Pedro Sula, trenta chilometri di distanza e circa mezzo milione di abitanti.
Ho vissuto la mia sessualità allo scoperto, per quel poco che ricordo. Ho partecipato ad almeno un Gay Pride, lo so perché mi è rimasta una foto. Solevo recarmi in un locale gay il fine settimana, di cui non rammento il nome, forse si chiamava Olimpos. Mi divertivo e arrotondavo con la prostituzione, concedendomi a uomini facoltosi.
I ricordi... parte della mia memoria è completamente cancellata e i fatti che sto per raccontare riveleranno perché. 
essere gay in honduras damiano dario ghiglino

Circa due anni fa ho cominciato a lavorare per il Colectivo Unidad Color Rosa, l'unica organizzazione che difende i diritti di gay e transessuali a San Pedro Sula.
Il mio ruolo era quello di incontrare la popolazione LGBT del luogo, anche casa per casa con visite domiciliari, per istruire e sensibilizzare sul sesso sicuro e informare sulle malattie sessualmente trasmissibili.

Mi muovevo solo o scortato da colleghi tra San Pedro Sula, El Progreso, Choloma e Villanueva. Nessun luogo è sicuro in Honduras. Cammini per strada e in pochi secondi ti puoi trovare nel quartiere sbagliato al momento sbagliato.
Mi era capitato varie volte. Di imbattermi nei pandilleros. Quelli che non hanno nome. Bestie senza scrupoli che ti puntano la pistola in faccia, ti prendono a calci e ti torturano, solo perché senza saperlo sei entrato nel loro territorio.
Qui lo Stato non esiste, non ti può proteggere.

Ero disposto anche a questo per il mio lavoro, a tornare a casa con i graffi, i lividi e le ammaccature.
Finché non abbiamo incrociato quei dieci uomini.
Mi trovavo con sette colleghi nel quartiere Sunseri di San Pedro Sula, quando siamo stati accerchiati. Erano armati fino ai denti e facevano parte della Mara Salvatrucha o MS-13.
Era ed è ancora una delle bande più spietate non solo in Honduras, ma in tutto il Latinoamerica...



Damiano Dario Ghiglino

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mercoledì 20 giugno 2018

" 'Vecchi" gay contro 'giovani' queer: ma sarà vero?" di Erica Gazzoldi


È nota l’intervista rilasciata da Giovanni Dall’Orto ad Arcigay Catania, intitolata Tractatus logicus-queerophobicus (disponibile on line: è stata pubblicata su Facebook , ma è ritrovabile anche qui). In essa, Dall’Orto accusa il pensiero queer di “nominalismo”: la dottrina per cui non esisterebbero enti reali, ma unicamente i segni linguistici corrispondenti. (Vedasi “nominalismo” su Treccani.it). Secondo lui, il pensiero queer moltiplicherebbe a dismisura sigle e nomi di orientamenti e identità di genere, perché sarebbe incapace di distinguere il pensiero astratto dalla realtà e pretenderebbe dunque che il linguaggio contenesse in sé la totalità delle differenze. 
nathan vignetta LG contro BTQ
Vignetta di Nathan

Quest'ideologia obbliga a un inseguimento nevrotico e mai concluso di nuove sigle, di nuove letterine, di nuove oppressioni, da aggiungere a “lgbt”. Ogni mattina un queer si sveglia sapendo che dovrà inventare una nuova letterina da aggiungere alla sigla, poi però ogni sera un queer prima di andare a dormire userà la sigla “lgbt+” per non dover passare il resto della notte a ricopiare tutto il risultato della passeggiata del gatto sulla tastiera.L'uso sempre più diffuso di “lgbt+” è una chiarissima confutazione della ragionevolezza del modo di agire queer. Che ha iniziato ad aggiungere letterine perché proclamava che non si poteva contenere tutta la diversità del mondo omosessuale in una parola sola, scoprendo troppo tardi che anche “lgbt” è comunque una parola, e quindi ha dovuto continuare ad ampliarla fino a renderla inutilizzabile nel mondo reale.Siamo così arrivati a inventare una parola che contiene tutta questa incontenibile e ineffabile diversità in un ridicolo “eccetera”, in un risibile “+”. Patetico.Se i queer non fossero mostruosamente ignoranti sul funzionamento della lingua, come sono, avrebbero saputo che lo sforzo di raggiungere l'assoluta esaustività è vano, perché il linguaggio umano non funziona come pensano, o come vogliono, loro.La lingua è una mappa, che si limita a dirci in che punto è situata la cosa o il concetto di cui stiamo parlando. Una parola è un segnale, un segnalibro, su quella mappa. Nient'altro:una mappa non potrà mai essere il territorio, perché una mappa che ha lo stesso livello di dettaglio del territorio è il territorio stesso...
Erica Gazzoldi

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mercoledì 13 giugno 2018

"Hoc est corpus meum" di Erica Gazzoldi


Angelo alzò gli occhi, stillanti di sonno, verso lo specchio reclinabile che guardava il suo letto. Tra i colori attorcigliati di un patchwork e il bianco incerto delle lenzuola, gli rispose un’esile ed alta figura in pigiama grigio. 
pietro perugino san sebastiano ermitage
Pietro Perugino, San Sebastiano (1493-94 circa)
Onde arruffate di capelli castani rampicavano sulle spalle e sulla nuca. Gli piaceva tener sciolti i capelli anche sul cuscino. Le guance ceree e affusolate erano velate da un’anima rosa - la stanza era calda e riusciva a dargli un po’ di colore in viso. Gli occhi che lo guardavano erano marroni e perplessi. Altre volte, li aveva trovati languidi. Da ragazza o da bambina, gli veniva da pensare. Si era ripetuto tante volte che “non doveva badare a quegli stupidi luoghi comuni”. Ma non riusciva a liberarsi da un imbarazzo: che quel suo corpo flessuoso, carezzevole e candido dovesse dirsi “di maschio”. Alle soglie del quarto di secolo, quasi non gli cresceva un pelo di barba.
Sceglieva spesso amicizie transgender, quasi per cercare comprensione o conferme. Ma non era detto che riuscisse a riceverne. No, non avrebbe voluto essere un bruto tozzo e peloso. Ma anche all’idea di transizionare, di essere donna, sentiva che non sarebbe stata quella la sua strada.
Amava le ragazze, sia come partner che come modello estetico. Ma non sopportava le contorsioni psicologiche e le fatuità di molte sue coetanee. Coi ragazzi, poi, doveva stare attento. Ci voleva poco a sentirsi dare della “checca” o della “femminuccia”. Naturalmente, non glielo dicevano in faccia. Ma battute e mezze voci, dopo giri tortuosi, arrivavano anche a lui. Gli unici che gli avessero dimostrato un’incrollabile amicizia erano soggetti “insospettabili”: metallari virilissimi, o persone in odore di estremismo politico. Della prima categoria, faceva parte Maurizio. Criniera leonina di capelli mori, barba altrettanto mora e occhi accesi come carboni. Quando non indossava magliette dei suoi gruppi preferiti, optava per camicie scure: perennemente semiaperte (tempo permettendo), a rivelare la vivace peluria sul suo petto olivastro. Da esso, usciva una voce potente e ringhiosa, quando cantava - ma burberamente carezzevole verso gli affetti. Come Angelo.
«Stammi bene, piccolo!» lo salutava sempre, con una misurata pacca sulla spalla e un breve abbraccio. Angelo, per quell’istante, si beava: del calore di Maurizio, del suo cuore sano, della sua figura alta e robusta...

Erica Gazzoldi

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mercoledì 6 giugno 2018

"La forma dell'acqua" di Luca Foglia Leveque

la forma dell'acqua film
Fonte: loschermo.it
Le mani di Elisa Esposito si muovono con dolcezza e forza, con gesti lenti e veloci. Le sue mani sono parole, messaggi, silenzi. Il suo mutismo - provocato da un’operazione alle corde vocali - la rende una diversa. Ed è proprio con i diversi che Elisa ama confrontarsi e relazionarsi: i suoi migliori amici sono la collega Zelda e il vicino di casa Giles, una donna nera e un omosessuale. L’America in cui vive la signorina Esposito è quella dei primi anni Sessanta: bigotta, conformista e acerrima nemica della Russia. La nazione più potente del mondo non ha molto da offrirle e le giornate della principessa senza voce trascorrono tutte allo stesso modo. Si sveglia, si masturba nella vasca ad occhi socchiusi, mangia, si prepara e va a lavorare. Pulisce e lustra gli uffici e i bagni del laboratorio militare dove è impiegata... e, poi, sogna. I sogni e i desideri di Elisa vengono accolti da Giles, illustratore e pittore, poeta del colore. Lui, innamorato di un barista giovane e piacente, deve fare i conti con il disprezzo che l’America pre-Stonewall riserva a chi è gay.
Essere neri, muti, omosessuali: non c’è differenza alcuna. Se sei diverso, verrai comunque giudicato e accantonato. 
La vita di Elisa, però, sta per cambiare: il suo principe è giunto e, ovviamente, è muto come lei. La strana creatura, un anfibio antropomorfo, possiede doti straordinarie e il suo potere è fonte di intrighi tra russi e americani. Il mostro acquatico, rinchiuso nel laboratorio dove lavora Elisa, mette in evidenza il lato oscuro di alcuni uomini e quello puro di chi sa parlare con il cuore.
La forma dell’acqua è una storia d’amore tra diversi in grado di scoprirsi simili, tra due esseri destinati a lasciare il mondo che tutti conosciamo per scoprirne uno lontano e privo di parole... 

Luca Foglia Leveque


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