La corrente
di attivismo britannico che, col suo essere “gender critical”, pratica il
negazionismo dell’identità di genere, merita spazio nel dibattito o rischia
solo di toglierci energie?
Un pensatore
gay italiano, da circa un anno, mi ha invitato a seguire il dibattito
britannico riguardante il profondo contrasto che vede a destra femministe
radicali, attiviste lesbiche, gay tradizionalisti e persone T transmedicaliste (quelle che accettano i
percorsi trans solo se medicalizzati), e, a sinistra, femministe
intersezionali, persone pansessuali, non binary, queer e transgender .
Non chiamiamoli/e “TERF”
La corrente “a
destra” viene chiamata “T.E.R.F” (Trans Exclusionary Radical Feminist).
Ma io non sono d’accordo con la scelta di questo termine, che comunque
comprende altre individualità oltre a femministe radicali, oltre a non
comprendere tutte le femministe radicali. È più corretto dire “gender critical “ (rispettando
l’eufemismo con cui si definiscono) o “negazionisti/e dell’identità di genere”.
“Trans-escludente” allude all’esclusione da precisi spazi di elaborazione culturale e incontro, interni al femminismo o rivolti al femminile.
Quello che questa corrente fa va invece molto oltre: non si limita alla pretesa (che potremmo discutere pacatamente) di non far accedere le donne T a determinati luoghi, fisici e non, ma rende “l’esclusione” universale. Tramite il negazionismo dell’identità di genere, anche la condizione T viene cancellata o ridotta ad una patologia o dismorfofobia, se non ad una “banale” insofferenza agli stereotipi di genere.
“Trans-escludente” allude all’esclusione da precisi spazi di elaborazione culturale e incontro, interni al femminismo o rivolti al femminile.
Quello che questa corrente fa va invece molto oltre: non si limita alla pretesa (che potremmo discutere pacatamente) di non far accedere le donne T a determinati luoghi, fisici e non, ma rende “l’esclusione” universale. Tramite il negazionismo dell’identità di genere, anche la condizione T viene cancellata o ridotta ad una patologia o dismorfofobia, se non ad una “banale” insofferenza agli stereotipi di genere.
“Sei una donna con un problema di
transgenderismo”
Ricordate la
terminologia che usava circa le persone omosessuali lo psichiatra Joseph Nicolosi?
Le persone omosessuali (in particolare
gli uomini) erano da lui considerate “eterosessuali con un problema di
omosessualità”: quindi, una condizione identitaria, che non riguarda solo i
comportamenti eroticoaffettivi ma tutti gli ambiti della vita e della
partecipazione politica, veniva ridimensionata a “problema”.
Ai tempi, a fare queste considerazioni erano i sostenitori delle teorie riparative e di una visione della vita influenzata da un integralismo religioso. Tutta la comunità LGBT era compatta nel contrastare questa visione e nel difendere l’identità omosessuale...
Ai tempi, a fare queste considerazioni erano i sostenitori delle teorie riparative e di una visione della vita influenzata da un integralismo religioso. Tutta la comunità LGBT era compatta nel contrastare questa visione e nel difendere l’identità omosessuale...
Nathan
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