Mi è capitato di imbattermi in questo articolo del Professor Jerry Coyne, e credo che meriti una critica.
Intanto, il titolo “In
difesa del binarismo dei sessi umani” semplifica troppo quello che l’autore
stesso afferma qui:
Ad essere ben più precisi, il sesso biologico negli umani è bimodale: se fai un grafico della frequenza mettendo il “sesso” sull’asse delle X e “frequenza degli individui che si conformano a tal sesso”, ti trovi con una bella punta in corrispondenza del “maschile” ed un’altra bella punta in corrispondenza del “femminile”, e poi alcune piccole spine tra i due che corrispondono agli ermafroditi od intersessuali.
A livello molto
divulgativo, non troverei niente da obbiettare; ma mi sono letto recentemente
un testo di biostatistica (Wayne W. Daniel, Biostatistica.
Concetti di base per l’analisi statistica delle scienze dell’area
medico-sanitaria. Seconda edizione, 2007, Napoli, EdiSES), il quale, ad
onta della sua vetustà (ne è uscita la terza edizione nel
2019), mi mette in guardia dall’ipotetico grafico del Prof. Coyne.
Infatti nell’asse delle X egli rappresenta una variabile che
ha pensato come discreta, anzi binaria (il sesso biologico), e che ha
cercato di rendere continua per
includere gli intersessuali. Ma non ha spiegato come posizionare le diverse
forme di intersessualità (anzi, i diversi individui intersessuali) lungo l’asse
delle X.
Ci vorrebbe una tecnica di misura capace di stabilire quanto
una persona è maschio e quanto una persona è femmina (sulla base delle diverse
caratteristiche corporee, ad ognuna delle quali occorrerebbe attribuire un
peso), ed esprimere il risultato con un numero
razionale o reale.
Coyne non ha proposto questa tecnica (non so se altri
l’abbiano fatto), quindi il grafico che propone, con una variabile indipendente
(il sesso) continua ed una funzione
di probabilità (la frequenza) continua,
rimane una generica astrazione senza significato perché non ha spiegato come
rendere continua la variabile sesso. Queste sono le cose che ti puoi permettere
in un blog, ma ti costerebbero la
bocciatura in un esame universitario – figuriamoci in un articolo per una
rivista peer-reviewed.
E non è che lo ha fatto solo perché una tecnica simile
sarebbe alquanto complicata e soggetta ad arbitrio (sarebbe bello se la
proponesse una commissione medica internazionale), ma perché i risultati si
spalmerebbero in un intervallo, tra il “maschio al 100%” e la “femmina al
100%”, ovvero distribuiti in uno spettro.
Anche se è praticamente certo che la distribuzione di probabilità di codesti risultati sarebbe bimodale, ovvero con due massimi verso gli estremi della mascolinità e della femminilità, il Prof. Coyne si troverebbe obbligato a convenire con i colleghi che vuol contestare...
Raffaele Yona Ladu
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