mercoledì 20 giugno 2018

" 'Vecchi" gay contro 'giovani' queer: ma sarà vero?" di Erica Gazzoldi


È nota l’intervista rilasciata da Giovanni Dall’Orto ad Arcigay Catania, intitolata Tractatus logicus-queerophobicus (disponibile on line: è stata pubblicata su Facebook , ma è ritrovabile anche qui). In essa, Dall’Orto accusa il pensiero queer di “nominalismo”: la dottrina per cui non esisterebbero enti reali, ma unicamente i segni linguistici corrispondenti. (Vedasi “nominalismo” su Treccani.it). Secondo lui, il pensiero queer moltiplicherebbe a dismisura sigle e nomi di orientamenti e identità di genere, perché sarebbe incapace di distinguere il pensiero astratto dalla realtà e pretenderebbe dunque che il linguaggio contenesse in sé la totalità delle differenze. 
nathan vignetta LG contro BTQ
Vignetta di Nathan

Quest'ideologia obbliga a un inseguimento nevrotico e mai concluso di nuove sigle, di nuove letterine, di nuove oppressioni, da aggiungere a “lgbt”. Ogni mattina un queer si sveglia sapendo che dovrà inventare una nuova letterina da aggiungere alla sigla, poi però ogni sera un queer prima di andare a dormire userà la sigla “lgbt+” per non dover passare il resto della notte a ricopiare tutto il risultato della passeggiata del gatto sulla tastiera.L'uso sempre più diffuso di “lgbt+” è una chiarissima confutazione della ragionevolezza del modo di agire queer. Che ha iniziato ad aggiungere letterine perché proclamava che non si poteva contenere tutta la diversità del mondo omosessuale in una parola sola, scoprendo troppo tardi che anche “lgbt” è comunque una parola, e quindi ha dovuto continuare ad ampliarla fino a renderla inutilizzabile nel mondo reale.Siamo così arrivati a inventare una parola che contiene tutta questa incontenibile e ineffabile diversità in un ridicolo “eccetera”, in un risibile “+”. Patetico.Se i queer non fossero mostruosamente ignoranti sul funzionamento della lingua, come sono, avrebbero saputo che lo sforzo di raggiungere l'assoluta esaustività è vano, perché il linguaggio umano non funziona come pensano, o come vogliono, loro.La lingua è una mappa, che si limita a dirci in che punto è situata la cosa o il concetto di cui stiamo parlando. Una parola è un segnale, un segnalibro, su quella mappa. Nient'altro:una mappa non potrà mai essere il territorio, perché una mappa che ha lo stesso livello di dettaglio del territorio è il territorio stesso...
Erica Gazzoldi

Continua su Il Simposio - Linee che s'intersecano. Disponibile nelle versioni Kindle e paperback.


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