lunedì 8 giugno 2020

Una riflessione intersezionale


Ultimamente si sente spesso parlare di “intersezionalità”, soprattutto in riferimento a un certo filone di femminismo (il femminismo intersezionale, appunto). Peccato che, nella maggior parte dei casi, le parole “intersezionale” e “intersezionalità” vengano usate a sproposito per indicare coloro che si interessano a più cause, o che sono semplicemente più inclusivi di altri. Troviamo così attivisti che si ritengono intersezionali perché si occupano sia dei diritti delle persone lgbtqia che, per esempio, della violenza sulle donne. O troviamo femministe che si sentono intersezionali perché includono, nelle loro rivendicazioni, anche le donne transgender e non solo quelle cisgender (cosa che dovrebbe essere ormai scontata, ma che, purtroppo, ancora genera polemiche). 
intersezionalità
L’intersezionalità è tutt’altro. Non è inclusione e non è avere interessi politici multipli. L’intersezionalità è un approccio alle tematiche (quali che siano) che prende in esame tutti gli aspetti e tutte le interconnessioni con altri temi e col contesto sociale, economico, storico, culturale. Un approccio di cui troviamo un esempio mirabile nel saggio “Donne, razza e classe” di Angela Davis:

Il libro di Davis ci invita, piuttosto, ad abbandonare il “provincialismo” di presupposti e analisi basati su un soggetto “donna” presuntamene omogeneo, emergente da una storia di oppressione comune e condivisa. Ci invita dunque ad analizzare e tenere in conto come le identità di genere non siano mai neutre dal punto di vista razziale e come l’oppressione di genere assuma forme diverse a seconda dell’identità etnica, religiosa o razziale. Si tratta di prendere in considerazione la complessità di processi di politicizzazione concreti che possano vedere come protagoniste le donne di colore e migranti, che svolgono attualmente una parte consistente del lavoro di riproduzione sociale in Italia. Si tratta di avere l’umiltà di studiare e imparare a conoscere la storia specifica e le condizioni concrete di vita delle donne migranti e di colore, di riconoscerne le forme specifiche di resistenza e lotta, rivendicazioni, bisogni e desideri. Si tratta infine di tenere presente come la complessità di questi fenomeni sia strettamente connessa alle dinamiche del capitalismo italiano, al suo ruolo internazionale, alla sua riorganizzazione della sfera della riproduzione sociale, e di pensare, conseguentemente, la lotta femminista come lotta al tempo stesso di classe e anticapitalista.[1]


Enrico Proserpio


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[1] Cinzia Azzurra, prefazione al libro “Donne, razza e classe”, di Angela Davis, edizioni Alegre, 2018.

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