Ultimamente
si sente spesso parlare di “intersezionalità”,
soprattutto in riferimento a un certo filone di femminismo (il femminismo intersezionale, appunto). Peccato che,
nella maggior parte dei casi, le parole “intersezionale” e “intersezionalità”
vengano usate a sproposito per indicare coloro che si interessano a più cause,
o che sono semplicemente più inclusivi di altri. Troviamo così attivisti che si
ritengono intersezionali perché si occupano sia dei diritti delle persone
lgbtqia che, per esempio, della violenza sulle donne. O troviamo femministe che
si sentono intersezionali perché includono, nelle loro rivendicazioni, anche le
donne transgender e non solo quelle cisgender (cosa che dovrebbe essere ormai
scontata, ma che, purtroppo, ancora genera polemiche).
L’intersezionalità
è tutt’altro. Non è inclusione e non è avere interessi politici multipli.
L’intersezionalità è un approccio alle tematiche (quali che siano) che prende
in esame tutti gli aspetti e tutte le interconnessioni con altri temi e col contesto sociale, economico, storico, culturale. Un approccio di cui troviamo
un esempio mirabile nel saggio “Donne,
razza e classe” di Angela Davis:
Il
libro di Davis ci invita, piuttosto, ad abbandonare il “provincialismo” di
presupposti e analisi basati su un soggetto “donna” presuntamene omogeneo,
emergente da una storia di oppressione comune e condivisa. Ci invita dunque ad
analizzare e tenere in conto come le identità di genere non siano mai neutre
dal punto di vista razziale e come l’oppressione di genere assuma forme diverse
a seconda dell’identità etnica, religiosa o razziale. Si tratta di prendere in
considerazione la complessità di processi di politicizzazione concreti che
possano vedere come protagoniste le donne di colore e migranti, che svolgono
attualmente una parte consistente del lavoro di riproduzione sociale in Italia.
Si tratta di avere l’umiltà di studiare e imparare a conoscere la storia
specifica e le condizioni concrete di vita delle donne migranti e di colore, di
riconoscerne le forme specifiche di resistenza e lotta, rivendicazioni, bisogni
e desideri. Si tratta infine di tenere presente come la complessità di questi
fenomeni sia strettamente connessa alle dinamiche del capitalismo italiano, al
suo ruolo internazionale, alla sua riorganizzazione della sfera della
riproduzione sociale, e di pensare, conseguentemente, la lotta femminista come
lotta al tempo stesso di classe e anticapitalista.[1]
Enrico Proserpio
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[1] Cinzia
Azzurra, prefazione al libro “Donne,
razza e classe”, di Angela Davis, edizioni Alegre, 2018.
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