Il velo… Un accessorio così leggero e così
semplice, ma capace di aprire mondi. Come la siepe di leopardiana memoria, il
velo (celando qualcosa alla vista) permette di concepire l’infinito, che è sempre un fatto puramente mentale (non certo
sensoriale). È decantato da Clarissa Pinkola Estés in Donne che corrono coi lupi (1993), come simbolo di protezione e
segno del divino al femminile. È spesso marchio d’oppressione che copre le
ricche chiome delle donne, per segnalare che sono “sottomesse”. È il velo
dietro il quale I discepoli di Sais (1798-1799)
di Novalis debbono scoprire il volto di Iside e - con esso - il segreto
dell’universo. È il velo sul capo degli antichi pontefici romani e su quello
delle vittime sacrificali; ma esistono i “sette veli” della danza di Salomè,
simboli di seduzione fatale nell’omonima tragedia di Oscar Wilde (1891).
Indosso alle spose, le proteggeva un tempo da sguardi indiscreti o malevoli,
nonché dai possibili rapitori (che avrebbero così faticato a distinguerle, in
mezzo alle damigelle ugualmente velate). È noto il “velo di Maya” di
schopenhaueriana memoria, che è l’impossibilità umana di accedere all’essenza
della realtà. C’è infine il “velo
pietoso” della delicatezza o dell’ipocrisia.
Con quest’ultimo significato, il termine è compreso nel lessico LGBT. “Velato” è infatti chi
non può o non vuole fare coming out: a volte, per tutelarsi di necessità; altre
volte, per omofobia/transfobia interiorizzata. Nel caso di alcune persone
transgender (soprattutto donne), si parla di “modalità stealth” (in inglese,
“invisibile”), per indicare la volontà di nascondere il proprio passato
pre-transizione e il sesso genetico. Del resto, anche se (da Stonewall in poi)
la comunità LGBT ha ottenuto libertà e garanzie impensabili solo cinquant’anni
fa, il “velo” sul mondo dei
“sessualmente diversi” è ben lungi dall’essere divenuto superfluo. In
famiglia, sul lavoro e coi compaesani, bisogna vagliare bene con chi sia
possibile aprirsi.
Ciò fa sì che le realtà LGBT, almeno parzialmente, conservino alcuni
“segreti” per chi si trova “dall’altra parte del velo”. Ne nascondevano
certamente tre celebri poeti inglesi di cui Franco Buffoni ha voluto narrare “le vite parallele” per il
cinquantesimo anniversario di Stonewall: George Byron, il summenzionato Oscar
Wilde e Wystan Hugh Auden. “Segreti” sono anche i motivi più profondi per i
quali la nostra società ancora rigetta l’idea di “famiglie arcobaleno”. Non parliamo poi delle famiglie bibliche, sulle quali lo sguardo analitico, spesso, non si
ferma più di tanto: diciamo che sarebbero difficilmente accette a un Family
Day.
Dietro il velo di
abiti e tabù, si può celare una “nudità
sacra”. Nel silenzio, rimane nascosto il vero legame fra le due insegnanti
Martha e Karen, nel film Quelle due (1961). Oltre a questo,
la bellezza di “svelare” viaggi da sogno,
o corpi
perfetti in fotografia, o i retroscena della vita sentimentale di un ragazzo ftm qualunque. Verrà sollevato anche il velo che copre i
sottili rapporti fra corpo e psiche
nelle disfunzioni sessuali maschili: un argomento imbarazzante, ma che è
più che mai necessario affrontare, in un’epoca in cui vanno ridisegnandosi i
significati dell’ “essere uomo” (così come dell’ “essere donna”).
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