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mercoledì 25 dicembre 2019

La (mia) perizia psichiatrica per le persone transgender



Premetto che avevo partecipato, all’epoca, alla stesura della Legge 164/82: erano tempi in cui il paternalismo ancora si manifestava con una certa evidenza (come , ad es., nei confronti delle donne che volevano abortire). Per quanto riguardava le persone transgender, si tendeva a voler  delegare l’ultima parola sulle loro decisioni a Giudici e Medici competenti.
Questa impostazione non mi piaceva e, nelle mie relazioni peritali, oggi come allora, ritengo che sia necessario valutare le capacità decisionali di una persona transgender  e di lasciare solo a questa  piena libertà di decidere
perizia psichiatrica transgender
Ho  scritto perizie da allora e ho seguito l’evoluzione sia del costume sociale che del pensiero giuridico.   Una volta, si parlava di capacità di intendere e di volere; oggi si preferisce  invece  parlare di capacità decisionali. 
Nel caso di persone maggiorenni, ben  informate e  in grado di decidere autonomamente, ritengo che spetti a loro e solo a loro scegliere la strada su cui desiderano proseguire la propria esistenza.
È chiaro che è forse la decisione più importante di una vita, che necessita di informazioni esaurienti, dettagliate, scientificamente valide. Tali informazioni saranno valutate approfonditamente dal Soggetto e l’esaminatore potrà aiutarlo a raccogliere tutti i dettagli e a verificare che tutto sia stato considerato.
Poi, da una posizione di totale neutralità, si lascerà la decisione finale  al Soggetto.
Per quanto riguarda la presenza o l’assenza di manifestazioni psicopatologiche tali da poter inficiare tale decisione, il discorso è altrettanto complesso.
Alcune psicopatologie gravi possono pesantemente interferire con una decisione di transizione: situazioni deliranti complicate, più o meno manifeste, possono determinare confusione, ambivalenza, percorsi  contraddittori, azioni incongrue e dannose.
Certamente, nella maggioranza dei casi che capitano sotto la mia osservazione, non si manifestano psicopatologie gravi: non si considerano tali le manifestazioni nevrotiche di disagio, disforia e ansia, ma devono essere invece portati alla luce i sintomi psicotici che interferiscono strutturalmente con la possibilità di una decisione ragionata...

Dott.ssa Roberta Ribali



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martedì 24 dicembre 2019

Intervista con Davis Mc-Yalla: aperture LGBT nel dialogo interreligioso?



Davis Mac-Yalla, religiosamente, è anglicano, è nato in Nigeria ed ha lasciato il paese perché l’essere omosessuale metteva la sua vita in pericolo. Ha fondato nel 2016 ad Accra (Ghana) l’Interfaith Diversity Network of West Africa (https://itdnowa.org), che inquadra i diritti LGBT+ come diritti umani e vuol trasformare le teologie prevalenti in Africa.

Raffaele (ebraicamente Yona) Ladu è un ebreo umanista (http://www.shj.org/) che lavora in una banca di Verona; una diagnosi di autismo lo rende alquanto sensibile alle problematiche LGBTQIA+ ed ha incontrato una prima volta Davis Mac-Yalla a Tel Aviv-Yafo (Israele) nel 2015, alle celebrazioni del 40° di attività di A Wider Bridge (https://awiderbridge.org/), un’organizzazione ebraica americana LGBTQ, affiliata a Keshet Gaavah (il Congresso Mondiale degli Ebrei LGBT+, http://glbtjews.org/), che catalizza un sostegno (non esente da critiche) verso lo stato d’Israele e la sua comunità LGBTQIA+. In quell’occasione, Davis Mac-Yalla perorava la causa dei rifugiati africani a causa della loro identità sessuale.

Luigia Sasso lavora all’ASSL 9 di Verona. Nel 2013, ha sposato Raffaele Yona Ladu. Appartiene alla Chiesa Valdese di Verona, in cui è molto attiva nella diaconia. Una delle sorelle di chiesa ghanesi ha sentito l’ispirazione di invitare Luigia e Raffaele in Ghana per il Natale 2018, e questo ha reso possibile quest’intervista. Le domande senza autore sono di Raffaele. 

cristiani omosessuali


***
Buonasera, Davis. Come mai hai creato la tua organizzazione proprio ad Accra? Ho letto che, nel 2007, si tentò di organizzare una conferenza sull’omosessualità, ma essa fu proibita.

Non la organizzammo noi; noi siamo riusciti a tenerla nel 2017.

Vuol dire questo che in dieci anni è cambiato l’atteggiamento della società ghanese verso l’omosessualità?

Beh, in questo paese l’omosessualità è illegale, quindi le persone devono essere molto caute, riservate ed estremamente guardinghe. Quello che fa l’Interfaith Diversity Network che presiedo è promuovere la giustizia sociale ed i diritti umani attraverso le fedi: il che vuol dire che ci va bene quello che fai, ed il messaggio che vogliamo promuovere è che i diritti umani fanno parte della fede, del proprio credo, e che bisogna radunare gli emarginati e cominciare a parlare della loro situazione. Questo è quello che stiamo facendo; siamo ebrei, cristiani, mussulmani, eccetera, e non conta il tuo background religioso – perché siamo una cosa sola.
Quando organizziamo un’iniziativa, è interreligiosa; non diciamo che è gay od omosessuale, per cui non facciamo le cose clandestinamente, ma ci mettiamo la faccia...

Intervista a cura di Raffaele Yona Ladu


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lunedì 23 dicembre 2019

Boys Don't Cry



Brandon era un po’ narciso, un po’ macho e un po’ eroe. Capelli corti, atteggiamento da consumato cowboy, pantaloni stretti e un sorriso da conquistatore: questa era la miscela con cui incantava le donne. Brandon era un ragazzino dal passato difficile: vittima di abusi, con una famiglia incapace di comprenderlo e bisognoso di una sola cosa: il rispetto. Cercava l’amore e sperava in un futuro sereno... coltivava il sogno di ogni essere umano. Trovare l’anima gemella, un lavoro soddisfacente, amici fidati, spensieratezza, amici: chi non vorrebbe tutto questo? A Brandon, ragazzo nato nel corpo di una ragazza chiamata Teena, venne tolta la possibilità di realizzare se stesso e ogni piccolo sogno. La sua vita venne recisa, con violenza, il 31 dicembre del 1993. Aveva compiuto 21 anni pochi giorni prima, il 12 dicembre. 
boys don't cry film

Nel 1999 l’attrice Hilary Swank venne scelta - per il suo aspetto androgino - per interpretare Brandon. La sua prova cinematografica le portò numerosi riconoscimenti, tra cui l’ambitissimo Premio Oscar per la miglior attrice protagonista. La regista Kimberly Peirce – con Boys Don’t Cry – raccontò l’ultimo tratto di vita di un ragazzo con la vagina, di un uomo con il seno. Portò sul grande schermo la storia di chi avrebbe voluto semplicemente arrivare a vivere la propria identità con gioia...
Teena di nome e Brandon di cognome: ma la sua essenza è assolutamente maschile. Brandon accantona Teena e inverte nome e cognome. Viene deriso, schernito, umiliato per il suo essere un maschiaccio, una lesbica mascolina... ma Brandon non è una lesbica. Teena non esiste e non è una ragazza omosessuale, perché Brandon si percepisce e vive come una ragazzo eterosessuale. È il frutto ruvido di un albero delicato. È la corteccia robusta di un nome che non gli appartiene pienamente… questo – almeno – è ciò che dice il suo documento d’identità...

Luca Foglia Leveque



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domenica 22 dicembre 2019

Epidermici orgasmi

 

  Il coraggio di essere… corpo

Ero agli inizi degli anni ’90, quando, giovane frate carmelitano, nella cella del convento carmelitano di Milano, ebbi una profonda rivelazione: nella solitudine della mia stanza, scopersi il piacere sublime dell’epidermico tatto. 
eros orgasmi della pelle


Premessa

Nel libro Teoria del corpo amoroso, il filosofo Michel Onfray scrive: “Il versetto della Prima lettera ai Corinzi insegna: È meglio sposarsi che ardere di passione. 
Questa frase si trova citata, commentata, ripresa, analizzata, sezionata, esaminata in ogni minimo particolare in tutta la letteratura patrologica consacrata ai rapporti tra uomini e donne per almeno mille anni. E noi viviamo ancora secondo questa formula, comprese le coppie laiche, non cristiane, atee, ma educate secondo il modello ideologico dominante” 
(Michel Onfray, Teoria del corpo amoroso. Per un’erotica solare, 2006, Roma, Fazi Editore, p. 91). E poco oltre aggiunge, parlando dell’esaltazione della  verginità come modello di vita proposto dagli autori dei primi secoli della cristianità: “L’abolizione integrale della sessualità implica lo sradicamento assoluto dei desideri, di tutti i desideri, e l’interdizione formale del piacere, di ogni piacere” (idem., p. 92). E conclude dichiarando che “mai una spiritualità collettiva ha lavorato tanto a distruggere il corpo, a negare la vita e screditare la realtà” (idem., p. 96)...


Mario Bonfanti



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giovedì 19 dicembre 2019

La scelta di Marie



 Questa storia, così semplice, ma così dolorosa, mostra come sia ancora abituale assistere alla negazione dei sentimenti e dell’espressione sessuale femminile. Per quanto questo specifico episodio riguardi una donna etero, esso mostra come sia generalizzata tutt’oggi (in alcune culture) la pratica del matrimonio imposto: cosa che nega l’esistenza dell’omosessualità, prima ancora che le bambine promesse spose possano interrogarsi sul proprio effettivo orientamento. È un obbligo il matrimonio ed un obbligo “l’esercizio” dell’eterosessualità entro il medesimo. Laddove omandano “le tradizioni intangibili”, le lesbiche e le bisessuali debbono fingere di non esistere.


matrimoni combinati


Questa è la storia di un percorso di autodeterminazione lungo e doloroso, come tutti i percorsi di autodeterminazione sono.
L’autodeterminazione non è una scelta libera o facile: significa trovarsi a rispondere della propria vita di fronte a se stessi e agli altri e avviene nel momento in 
cui una donna si costruisce la possibilità concreta e reale di dare un senso a tutte le scelte che l’hanno condotta all’autenticità dei propri desideri e connessa con il centro del proprio dolore.
Marie ha costruito la propria vita, innaffiando i fiori che sono dentro di lei e assumendosi la responsabilità delle proprie scelte coraggiose. La battaglia per l’affermazione di sé vede come alleati 
principali l’autodeterminazione della persona; la consapevolezza che non si è liberi, in un mondo che ci vuole dipendenti dalle scelte altrui; la volontà di pagare il prezzo per la propria libertà...


Rita Ricciardelli 


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giovedì 12 dicembre 2019

Non si può fermare l'estate: intervista con Anton Emilio Krogh



Parlare di estate in questi mesi… Sembrerebbe un paradosso. Eppure, è dovuto, dato che stiamo parlando dell’ultimo romanzo di Anton Emilio Krogh: Non si può fermare l’estate (Mursia, 2018). Avvocato, ma con la passione per la scrittura, aveva già dato alle stampe l’autobiografico  Come me non c’è nessuno (Mursia, 2017). In merito alla sua seconda opera, ci ha rilasciato la seguente intervista. 
anton emilio krogh non si può fermare l'estate

Se posso permettermi: quanto c'è di autobiografico in questo romanzo?  Carlo (che il padre vorrebbe avvocato, ma che ha invece la vocazione alla comunicazione) sembrerebbe somigliare a Lei...

Posso senz’altro dire che, al contrario di Come me non c’è nessuno, il mio romanzo di esordio  autobiografico , il  secondo libro racconta invece  una storia di fantasia.
Questo non esclude che la scrittura possa essere stata contaminata in senso positivo da esperienze ed emozioni personali,  o, comunque, conosciute attraverso terze persone.
Credo infatti che  qualsiasi scrittore trasferisca qualcosa di sé nei propri libri, come probabilmente fanno i registi nei loro film.

Nell'era degli smartphone e dei rapporti "liquidi" (o addirittura "usa e getta"), un'amicizia così reale e così duratura sembrerebbe una rarità... Tu ritieni ancora possibili le relazioni autentiche? Se sì, perché?

Ho sempre coltivato l’amicizia, un sentimento e un valore in cui credo moltissimo, e per questo ho voluto celebrarla in Non si può fermare l’estate. Guardando i giovani e, soprattutto, i giovanissimi di oggi, mi ritengo fortunato per aver vissuto, fino a pochi anni fa, assolutamente libero da dipendenze da smartphone e tablet. Era un mondo in cui ci si conosceva stringendosi la mano e guardandosi negli occhi, un mondo in cui (sia in amicizia che in amore) “rischiavamo” l’incontro  reale, con tutte le sue conseguenze : dall’alchimia più profonda e coinvolgente alla frustrazione del rifiuto o della delusione.
Oggi, l’unico “ rischio” che corriamo è di trovarci soli tra quattro pareti e gli occhi fissi su uno schermo per ore, pieni di amici virtuali e di un’immensa solitudine. Ed è anche di questo che ho voluto raccontare, narrando la lunga estate di tre inseparabili amici che, inevitabilmente, anche a quarant’anni devono fare i conti con questa dipendenza, che ormai non risparmia più nessuno.
L’era digitale ha sottratto moltissimo ai rapporti umani e (ad essere sincero) all’orizzonte non vedo prospettive di “umanizzazione “ troppo confortanti; ma, nonostante tutto,  la mia natura di inguaribile ottimista mi spinge a credere che qualcosa accadrà e comprenderemo quanto abbiamo perso.

Visto che questa è una rivista LGBT, ci parli un po' di Luca: quello che "si veste in modo eccentrico" e "preferisce la compagnia dei ragazzi". Qual è il suo rilievo nella trama? Lo trova rappresentativo del ragazzo gay medio? O stereotipato? O semplicemente... se stesso?


Intervista a cura di Erica Gazzoldi

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mercoledì 11 dicembre 2019

Uccisi dall'omofobia anni '90: American Crime Story



Una recensione personale e appassionata di American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace, pensata per chi l’ha già vista e vuole riflettere su nuove chiavi di lettura, o per chi vuole vederla, ma non ha paura di incappare in alcuni particolari prima della sua visione. 
andrew cunanan assassinio gianni versace

Ho iniziato a seguire Ryan Murphy ancor prima di sapere che lo stavo seguendo: Nip/Tuck ha avuto un ruolo centrale negli anni che hanno preceduto il mio coming out, ma anche la scoperta di me stesso.
Gli anni seguenti, ho potuto apprezzare altre sue opere, come Glee Pose.
È stato per puro caso che la mia attenzione è andata ad una delle sue opere più recenti: American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace, appartenente ad una serie antologica che, nel suo primo capitolo, ha trattato il caso di O.J. Simpson.

Non è stato solo perché non sono indifferente al fascino di Darren Criss, attore interessante da tanti punti di vista: i lineamenti particolari dovuti alle sue origini filippine e irlandesi (anche se non ama essere definito per questo), il fatto che conosca la lingua italiana (ha studiato ad Arezzo: forse, questo dato ha contribuito a fargli avere questa parte, anche se l’attore aveva già lavorato con Murphy), e, infine, il dato curioso che riguarda la sua vita personale: è un eterosessuale quasi “specializzato” in ruoli di uomini gay.
L’altro motivo per cui questa serie ha richiamato il mio interesse è il fatto che il caso Versace me lo ricordo bene: avevo 13 anni; era l’estate che divideva la mia infanzia dalla mia adolescenza e ingresso al liceo e i media insistevano in modo morboso sull’omosessualità di vittima e carnefice.
A colpirmi non era tanto Versace, quanto il giovane assassino. Per me, erano nuove tante parole: “gigolò di lusso”, “serial killer di omosessuali”. Nonostante le parole della stampa, o forse anche per l’omofobia contenuta in esse, non riuscivo a vedere Cunanan come carnefice. Qualcosa, dentro di me, mi faceva vedere entrambi come vittime di un mondo che non dava loro libertà e legittimità come persone omosessuali, in quegli anni in cui “gay”, nella mia testa, era solo un “campanello” che risuonava e che non sapevo ancora quanto potesse appartenermi.
Poi, però, ho dimenticato questo caso mediatico, anche quando poi sono entrato come attivista nella comunità LGBT...



Nathan


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sabato 23 novembre 2019

Claude Cahun: uno, nessuno e centomila gender



Uno, due, tre: gender!
Maschile, femminile, neutro?
Si fa presto  a domandare se tu sia uomo o donna e quale sia il tuo orientamento sessuale.
Ma Lucy Renée Mathilde Schwob,  per sfuggire all’impertinenza della domanda, all’equivoco, provocatoriamente lo conferma, scardinandolo nel corso di tutta la sua vita pubblica e privata, e sceglie un nome d’arte evocativo di un’identità-non identità plasmabile, oscillante tra il maschile - femminile e l’assonante discendenza ebraica, quasi si trattasse di un terzo genere.
Claude Cahun: l’incarnazione dell'ambiguità. 
claude cahun

 “Neutro è il solo genere che mi si addice sempre” dichiarerà, lasciando trapelare l’intimo desiderio di esser sempre qualcos'altro, qualcun altro, altrove, libera  dalla necessità d’esser relegata in una forma, d’esser contestualizzata in un preciso spazio temporale, distante dai confini, dalle definizioni, dalle etichette, da cui rifugge trasponendo un’originalità sperimentale, unica, nei suoi autoritratti onirici, negli scatti fotografici en travesti, in cui rivela tutto il suo talento indiscusso per la fotografia come ricerca profonda di altro da Sé. 
La sua inclinazione artistica dominante fu la fotografia, dopo un primo momento in cui si dedicò alla scrittura. E sarà proprio la fotografia a renderla finalmente visibile.
 Claude Cahun, scrittrice,  fotografa, scenografa, poetessa innovativa, al di là del tempo, ancor oggi  fonte di ispirazione  per molti artisti, nacque a Nantes nel 1894, da Victorine Mary Antoinette Courbebaisse e da un noto giornalista, Maurice Schwob.
Trascorse gran parte dell’infanzia “nascosta sotto la tavola della cucina” di una casa agiata con il privilegio d’esser nata in una famiglia borghese e benestante. Privilegio che non la preserverà dal sentore di un clima cupo, opprimente, derivante dalla follia della madre (poi internata in manicomio) e da una salute cagionevole.
 L’anoressia, l’uso di droghe e alcuni tentativi di suicidio evidenziano, fin dalla giovinezza, una fragilità inquieta, impressa profondamente nelle pieghe dell’anima e nel corpo, fino all’incontro provvidenziale con Suzanne Malherbe, disegnatrice e giovane promessa delle arti grafiche, sua coetanea e altrettanto curiosa adolescente diciassettenne...

Eva Gili Tos

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sabato 16 novembre 2019

Esce "Il Simposio - Il coraggio di essere"




«Il coraggio di vivere?» «No: Il coraggio di essere!» Possiamo così riassumere efficacemente il breve dibattito occorso in occasione della scelta del titolo per questo numero. Abbiamo lasciato il buon Lucio Battisti ai propri languori (se siete suoi fan, non vogliatecene) e abbiamo optato per qualcosa di più incisivo. 


Il Simposio lgbt rivista il coraggio di essere

Essere o non essere? Essere o apparire? Sarebbe facile fare citazionismo e proporre i soliti dilemmi. Perché questi sono bivi davanti ai quali chiunque può trovarsi. Senza nemmeno rendercene conto, la vita ci pone continuamente di fronte a difficili opzioni. Velarsi dietro una maschera? Lasciarsi trascinare da ciò che altri hanno voluto per noi? O pensare ciò che effettivamente pensiamo, desiderare ciò che davvero desideriamo, trovandoci così a rendere conto di tutta la nostra vita?
L’ha fatto la fotografa Claude Cahun, in amore e nell’arte. L’hanno fatto coloro che denunciarono l’omofobia negli anni ’80-’90. L’hanno fatto tre amici (fittizi, ma verissimi come non mai) nell’ultimo romanzo di Krogh. Ma, soprattutto, l’ha fatto Marie, originaria di un villaggio senegalese e testimone di come, ancora oggi, la sessualità femminile possa essere forzata, con l’imposizione del matrimonio (e dell’eterosessualità).
Proseguiremo con la scoperta di una verità insospettabile sul piacere erotico, poi con la commovente e feroce storia di Brandon Teena, ragazzo transgender.
Vedremo anche esempi di dialogo interreligioso in Africa, fra necessarie e difficili aperture. La penna competente della dott.ssa Roberta Ribali ci parlerà poi della preziosa alleanza fra persone transgender e psichiatri, al momento del percorso giuridico e medicalizzato di transizione.
Per rinfrescare lo spirito, oltre a tanto coraggio e dolore, troveremo qualche sorriso sulla vita da ftm e sensuali scatti di corpi maschili. Essere o non essere… felici? Questo è il quesito.


Il Simposio - Il coraggio di essere è disponibile su Amazon nei formati Kindle e paperback

giovedì 10 ottobre 2019

Le Iene, Luxuria e la rappresentazione delle persone transgender



Come attivista transgender, che ha a cuore il tema della rappresentazione T nell’immaginario collettivo e tramite i media, e come persona che ha scritto sull’inclusione delle persone transgender nelle app e siti di dating, non posso tacere su quanto avvenuto durante una recentissima puntata del programma televisivo Le Iene, che ha messo in scena le (dis)avventure di una donna transgender all’interno del portale Tinder, con un approccio morboso fin dal titolo della candid camera.
La trasmissione ha coinvolto Vladimir Luxuria, donna transgender che non ha bisogno di presentazione. 
tinder e sorpresa vladimir luxuria le iene
Si inizia con una “candid camera” che ha come protagonista proprio Luxuria, coinvolta da una “Iena”, scelta donna per rendere il tutto più alla Sex and the City, anche se non c’è alcuna solidarietà tra donne, e la trivialità, come leggerete, rimane quella dei suoi colleghi maschi.

“Tinder e sorpresa” e l’iscrizione di Luxuria al portale

Dopo un’introduzione, totalmente gratuita, dove viene ricordato che Luxuria “all’anagrafe è Vladimiro Guadagno”, in sovraimpressione appare un titolo pecoreccio: “Tinder e sorpresa”, che, alludendo all’assonanza con l’omonimo ovetto di cioccolato, anticipa la candid: Luxuria si iscriverà a Tinder, riservando la “sorpresa” del genitale maschile ai gentlemen che la contatteranno.
Dopo un’intelligente riflessione di Vlady sul diritto di iscriversi come “trans” (anche se, in realtà, sarebbe meglio poter inserire “donna transgender” e “uomo transgender” come categorie distinte tra loro), le mie speranze che la candid prendesse una piega brillante sono state deluse.
Nel profilo Tinder appena creato, Luxuria viene descritta come donna con una “marcia” in piùtra tanti risolini della Iena, la quale chiarisce che stanno arrivando tante richieste di uomini interessati a “quella cosina lì”.
Alle chat di questi uomini, che dicono di “Non mettersi paletti”, la Iena risponde con squallide battute sui “paletti”, con allusioni falliche, chiarendo che presto saranno “cazzi” loro in senso letterale...

Nathan


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XX XY



XX o XY: dal primo giorno di vita della nostra prima cellula, che darà luogo a Noi, siamo tutti (o quasi…) portatori di caratteristiche anatomico-fisiologiche specifiche e apparentemente binarie, che ci identificano convenzionalmente come Femmine o Maschi. È una convenzione, ma ha un potere determinante nell’indirizzare le nostre esistenze.     Da almeno 200.000 anni funziona così, quali che siano i contesti sociali, politici, storici in cui ci ritroviamo a nascere e a vivere le nostre piccole vite, perse oggi fra sette miliardi di altre piccole vite….
Le nostre vite sono piccolissime, si, ma assolutamente importanti: non solo per noi, ma per chi ci ha messo al mondo e per la società che ci accoglie, per la quale siamo necessari alla sua stessa sopravvivenza. Questo contesto accogliente ha strutturato nei millenni tutta una serie di regole, che dovrebbero facilitare l’inserimento armonico dell’individuo nello stream sociale dei diversi gruppi. In genere, più o meno, ha funzionato, in un continuo (e oggi rapidissimo) divenire di nuovi adattamenti
maschio o femmina
La neonata femmina biologica si ritrova, prima ancora di nascere, inserita in un percorso di aspettative parentali e di gruppo che ne stabiliscono innanzi tutto il nome, mai da lei scelto, ma deciso a volte già da generazioni. È pronto il corredino e, con esso, i sogni e le proiezioni dei genitori, preparati a faticare, a impegnarsi, a investire tempo e denaro per quella figliolina. Che crescerà bambina, adolescente e donna. Che svilupperà un quadro psico-ormonale che potrà prepararla alla sessualità, all’interno di percorsi  codificati, accettati ed accettabili dalla maggioranza omologata dei suoi simili. Attrazione per gli uomini, comportamenti “femminili” ben definiti, maternità dovuta.
Per i maschietti il percorso è specularmente identico, con criteri identificativi propri della mascolinità - e del maschilismo. La suddetta mascolinità si è sviluppata curiosamente in modo analogo anche in culture lontane, che non hanno avuto (a volte) quasi nessun contatto fra di loro: è andata così.
(In talune culture, esistono però anche altre modalità adulte, oltre a Donna e Uomo)...

Dott.ssa Roberta Ribali

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giovedì 3 ottobre 2019

Le persone transgender a Milano: quale prospettiva di dialogo con le istituzioni della città?




Lettera aperta alla cortese attenzione del Sindaco Beppe Sala e degli Assessori Filippo del Corno Laura Galimberti, Pierfrancesco Majorino e Cristina Tajani 


persone transgender milano


Gentilissimo Sindaco,
gentilissimi Assessori,
vogliamo anzitutto ringraziarvi per il vostro sostegno al Milano Pride - manifestazione alla quale il nostro circolo ha contribuito assieme a tante altre sigle e soggettività - che sempre più diventa evento della città tutta e non di un solo gruppo o di una categoria di persone. Abbiamo accolto con gioia quegli Assessori che hanno deciso di marciare al nostro fianco dietro lo striscione che quest’anno ha aperto la manifestazione con uno slogan significativo: “La prima volta fu rivolta!”. Nel ricordare il cinquantennale della nostra storia politica, quest’anno abbiamo voluto riconoscere l’importanza che la “T” ha avuto e ha tutt’oggi nell’acronimo “LGBTIQIA+”, ricordando che le persone transgender ebbero e hanno un ruolo fondamentale nella costruzione del nostro movimento.

Dal 2013, presso la nostra associazione, il Circolo culturale Alessandro Rizzo Lari, abbiamo avviato uno spazio denominato “Progetto Identità di Genere”, che offre supporto, orientamento e accoglienza a centinaia di persone transgender e gender non conforming a titolo del tutto gratuito e basandosi esclusivamente sul lavoro di volontari e sulle modestissime quote di tesseramento del Circolo per il pagamento degli spazi. Lavoriamo e operiamo presso la sede dello storico gruppo di cristiani omosessuali “Il Guado” in via Soperga 36.
Come realtà di persone che ogni anno segue e supporta concretamente la popolazione transgender, intendiamo avviare un dialogo con le istituzioni e con il Comune di Milano, sicuri di trovare ascolto. Riteniamo infatti che i tempi siano maturi perché Milano dialoghi istituzionalmente con quelle persone transgender che sono, prima di tutto, cittadine e cittadini...


Monica Romano – Attivista, scrittrice, candidata nel 2016 per il Consiglio Comunale a sostegno di Beppe Sala Sindaco
Circolo culturale Rizzo Lari (ex Harvey Milk)
Nathan Bonnì, Laura Caruso e Daniele Brattoli per il “Progetto Identità di Genere”

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giovedì 26 settembre 2019

In her rooms: intervista con Maria Clara Macrì




“Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?” (Olympe de Gouges, 1791). 
maria clara macrì in her rooms


Così inizia il Manifesto di Rivolta femminile e a questo sembra ispirarsi l’ambizioso progetto fotografico di un’artista alla ricerca di autenticità e connessione tra corpi.

Maria Clara, infatti è una fotografa professionista. “I share empaty” è la frase della sua bio di Instagram (inserire l’url https://www.instagram.com/meryornot/?hl=it ) e costituisce il manifesto del suo personale politico.
Ci conosciamo da anni, innamorate della stessa terra, il Cilento, dove cerchiamo sempre il tempo di tornare. 
Ho appena comprato una sua fotografia, così preparo un caffè per conoscere bene il progetto In her rooms, di cui fa parte lo scatto che ha rapito i miei sensi.

Una delle mie opere preferite, fra quelle create da te, è quella che ritrae due ragazze giovanissime sedute sul pavimento della stanza, una dietro l’altra, come se si trattasse di un corpo solo. Mi ha colpito così tanto che ho l’ho comprata.



Si, le due ragazze sono: Lina Benz, che è per metà algerina e per metà francese, e Elena Marant, che è la nipote della designer Isabelle Marant. Tramite Instagram, ho conosciuto Lina, che seguiva il mio lavoro perché è anche lei una fotografa. L’estate scorsa, mi ha contattata, dicendomi che voleva essere fotografata da me perché desiderava far parte di questo progetto. Le ho subito risposto che mi avrebbe fatto piacere, spiegandole che, per il mio lavoro, cercavo di raggruppare le ragazze a Parigi, chiedendole quindi se conoscesse qualche altra ragazza interessata. A quel punto, mi ha parlato di Elena, la sua amica, che sarebbe stata molto contenta di partecipare. Lina, in ogni caso, vive con la sua famiglia; quindi, abbiamo deciso di fare il servizio fotografico da Elena, come ti anticipavo Lina è fotografa ed Elena videomaker/regista; sono giovanissime, ventenni; vanno all’università e passano la maggior parte del tempo a casa di Elena. Quel salottino dove è stata scattata la foto è teatro delle loro creazioni è il luogo del loro studio, del loro stare insieme come amiche, quasi sorelle. 
Lina ed Elena sono molto complici ed io ho trovato la cosa molto interessante. Quando, poi, mi hanno spiegato che si fotografavano a vicenda, mi sono esaltata ancora di più, perché ho pensato che fossero l’una la musa dell’altra...



Intervista a cura di Rita Ricciardelli


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