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mercoledì 11 dicembre 2019

Uccisi dall'omofobia anni '90: American Crime Story



Una recensione personale e appassionata di American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace, pensata per chi l’ha già vista e vuole riflettere su nuove chiavi di lettura, o per chi vuole vederla, ma non ha paura di incappare in alcuni particolari prima della sua visione. 
andrew cunanan assassinio gianni versace

Ho iniziato a seguire Ryan Murphy ancor prima di sapere che lo stavo seguendo: Nip/Tuck ha avuto un ruolo centrale negli anni che hanno preceduto il mio coming out, ma anche la scoperta di me stesso.
Gli anni seguenti, ho potuto apprezzare altre sue opere, come Glee Pose.
È stato per puro caso che la mia attenzione è andata ad una delle sue opere più recenti: American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace, appartenente ad una serie antologica che, nel suo primo capitolo, ha trattato il caso di O.J. Simpson.

Non è stato solo perché non sono indifferente al fascino di Darren Criss, attore interessante da tanti punti di vista: i lineamenti particolari dovuti alle sue origini filippine e irlandesi (anche se non ama essere definito per questo), il fatto che conosca la lingua italiana (ha studiato ad Arezzo: forse, questo dato ha contribuito a fargli avere questa parte, anche se l’attore aveva già lavorato con Murphy), e, infine, il dato curioso che riguarda la sua vita personale: è un eterosessuale quasi “specializzato” in ruoli di uomini gay.
L’altro motivo per cui questa serie ha richiamato il mio interesse è il fatto che il caso Versace me lo ricordo bene: avevo 13 anni; era l’estate che divideva la mia infanzia dalla mia adolescenza e ingresso al liceo e i media insistevano in modo morboso sull’omosessualità di vittima e carnefice.
A colpirmi non era tanto Versace, quanto il giovane assassino. Per me, erano nuove tante parole: “gigolò di lusso”, “serial killer di omosessuali”. Nonostante le parole della stampa, o forse anche per l’omofobia contenuta in esse, non riuscivo a vedere Cunanan come carnefice. Qualcosa, dentro di me, mi faceva vedere entrambi come vittime di un mondo che non dava loro libertà e legittimità come persone omosessuali, in quegli anni in cui “gay”, nella mia testa, era solo un “campanello” che risuonava e che non sapevo ancora quanto potesse appartenermi.
Poi, però, ho dimenticato questo caso mediatico, anche quando poi sono entrato come attivista nella comunità LGBT...



Nathan


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