venerdì 24 dicembre 2021

Un addio e un grazie

 Salve a tutt*! Penso che chiunque abbia amato la nostra rivista nel corso di questi anni si sia accort* che le nostre attività sono terminate. Come qualsiasi cosa esistente, Il Simposio ha fatto il suo tempo. Abbiamo scritto, ci siamo impegnat*, ci siamo anche appassionat*... ma, ora, è il momento di dedicarsi ad altro. Magari a EnbyPost, perché no? 

addio e grazie

Anche se proviamo un po' di nostalgia per ciò che questo progetto ha significato per noi, attaccarsi al passato quando vengono meno le risorse umane, il denaro (e l'interesse?) non è mai una scelta saggia. Meglio un onorevole commiato.

Vogliamo salutare e ringraziare tutt* coloro che ci hanno seguito e che hanno comprato la rivista. Speriamo di avervi regalato letture piacevoli e consistenti.

Buon anno nuovo... Terminiamo con il titolo di un numero del Simposio: 

Incipit vita nova.

domenica 7 novembre 2021

Locked Down: origini e senso della cintura di castità

Diversi mesi orsono, alcuni quotidiani riportarono la notizia di “cinture di castità elettroniche hackerate per chiedere un riscatto”. Ne parlarono addirittura testate come Il Corriere della Sera e Il Fatto Quotidiano

E così è emerso un sottobosco, ai più sconosciuto, di una pratica diffusissima anche in Italia: l’uso di oggetti di contenimento sessuale. [...] 
cintura di castità

Per molto tempo, si è creduto che questo strumento di contenimento genitale fosse stato architettato durante il periodo delle Crociate per impedire tradimenti da parte delle mogli dei cavalieri che partivano per la Terra Santa.

In verità, è molto improbabile che i cavalieri medievali imponessero alle proprie mogli una cintura di castità. Più plausibilmente, prima di partire, si accoppiavano con le proprie mogli, così da trovare un figlio al proprio ritorno. È, dunque, evidente che la presenza di una cintura di castità avrebbe impedito il parto. Senza, poi, contare l’obiezione molto più semplice: e cioè il fatto che qualunque serratura medievale poteva essere facilmente aperta da un fabbro. 

Una invenzione rinascimentale.

Chi ha inventato, dunque, la cintura di castità?

Sebbene l’idea di astinenza sessuale sia antichissima e lo stesso termine latino cingulum castitatis (traducibile appunto con “cintura di castità”) compare a partire dal VI secolo in alcuni testi di Papa Gregorio Magno, Alcuino di York, e molto più tardi San Bernardo di Chiaravalle, la prima rappresentazione di un oggetto che ricordi vagamente una cintura di castità risale al 1405 in un manoscritto, il Bellifortis di Konrad Kyeser, dedicato alla tecnologia militare dell’epoca. Il congegno disegnato è presentato come uno strumento imposto alle donne fiorentine dai mariti gelosi. Ma non risulta nulla del genere nella Firenze del tempo.

Molto probabilmente fu un qualche fantasioso ingegnere del quattrocento che si inventò questo marchingegno immaginario, come spiega il prof. Alessandro Barbero nel seguente video...


Mario Bonfanti


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lunedì 25 ottobre 2021

Gesti d'amore (olimpici e non)

 È trascorsa l'estate. 

Olimpiadi 2020

Un’estate pazzesca, nervosa, instabile, ancora attorniata da limitazioni e incertezze, da discussioni e interessi di potere, ma anche da tante soddisfazioni sportive.

Le Olimpiadi 2020 hanno segnato un traguardo positivo, entrando a pieno titolo nella storia: sia per le soddisfazioni a livello di prestazioni, medaglie e primati mondiali, sia per i gesti significativi, di rappresentanza, di slanci d'amore e di affetto verso tutta la comunità, come invito ad aprire la mente. Sono avvenuti tantissimi coming out volti a promuovere il coraggio, la forza e il rispetto - non solo in campo. 

Quelli di Tokio 2020 sono ufficialmente i giochi più inclusivi di sempre, con ben duecento atleti appartenenti alla comunità glbtqia+: il triplo rispetto a Rio 2016. (Fonte : Outsports.com) 

Lucilla Boari, con dolcezza, si é commossa davanti al video della sua compagna Sanna. 

Alice Bellandi ha dichiarato di amare il Judo e la sua fidanzata Chiara. Rachele Bruni, già ai giochi di Rio 2016, dedicò la medaglia alla partner Diletta. 

Rivendica con energia il diritto di amare e alla fluidità senza etichette Paola Egonu, che (tempo fa) dichiarò: "Mi sono innamorata di una donna, ma mi potrebbe succedere anche con un ragazzo: dov’è il problema?”. 

La vogatrice polacca Katarzyna Zillmann ha fatto coming out non appena tornata a terra, in televisione, sull’onda dell’emozione per la vittoria di un argento:

”È per la mia fidanzata”...


Stefano "Steven" Belloni


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sabato 16 ottobre 2021

Una causa contro la Yeshiva University

 Introduzione

Yeshiva University


Si tratta della traduzione dell’articolo “‘Second class citizens’: LGBTQ students allege culture of alienation and fear at Yeshiva University = ‘Cittadin@ di seconda classe’: @ student@ LGBTQ sostengono che nella Yeshiva University c’è una cultura di alienazione e paura” di Marie-Rose Sheinerman pubblicato il 4 Maggio 2021 sul sito web dell’edizione inglese della gloriosa rivista ebraica americana (ora solo online) The Forward, fondata nel 1897 (originariamente in lingua yiddish con il nome Forverts – della rivista esiste ancora una sezione in codesta lingua).

La rivista è di orientamento progressista (nel 1897 era addirittura socialista – non per niente “Forverts” e “Forward” si traducono con “Avanti!”), e non lo dimostra solo affrontando le questioni ebraiche ed americane, e le problematiche LGBT+, ma anche il conflitto israelo-palestinese.

Invece la Yeshiva University (abbreviata in Y. U.) è un’università privata ebraica ortodossa, con sede a New York City (esiste un liceo con un nome ed orientamento simile, la Yeshiva University High School of Los Angeles, ma le due scuole non sono affiliate tra loro); come precisa l’articolo, i corsi non propriamente rabbinici sono aperti a tutt@, ma questo non ha impedito ciò di cui si lamentano @ student@ che all’università hanno fatto causa. 

Le note tra parentesi quadre sono mie. Ricordo che in inglese molte parti del discorso non hanno forme distinte per genere, e molti sostantivi (come “counselor”, “professor”, “student”, “teacher”, ma anche “child”, “parent”, “sibling”, “spouse”, e pure “cat”, “dog”, eccetera) sono di “common gender”, ovvero non specificano se la persona o l’animale a cui si riferiscono sono maschi o femmine, per cui ho usato moltissimo l’“@” per mantenere l’indeterminatezza dell’originale. Mi spiace, considero il “maschile comune” un orrore delle grammatiche italiana ed ebraica.


Traduzione


‘Cittadin@ di seconda classe’: @ student@ LGBTQ sostengono che nella Yeshiva University c’è una cultura di alienazione e paura

Di Marie-Rose Sheinerman


Molly Meisels, allora al quarto anno di corso alla Yeshiva University, lo scorso autunno fu accolt@ nel suo corso con un insolito messaggio di un@ professor@: “Non m’importa se sei un ‘he = egli’, una ‘she = ella’ od un ‘it = esso’”.

[I pronomi personali e possessivi inglesi hanno tre generi: maschile, femminile, neutro – quest’ultimo si applica quasi solo agli esseri inanimati; come pronome “gender-neutral”, ovvero che non specifica il genere/sesso della persona, e non lo presume, è stato ripescato dal passato della lingua inglese (14° Secolo) il pronome “they”, che di solito invece corrisponde all’italiano “loro” - @ professor@ in questione non lo ha voluto usare, perché per l@i rinunciare ad esplicitare il proprio genere significava rinunciare alla propria umanità e vitalità].

Meisels, 22 anni, un@ de@ poch@ student@ del corso di laurea di primo livello apertamente LGBTQ in un’università di oltre 2 mila student@, ricordò di sentirsi colt@ alla sprovvista, ma non sorpres@. Aderendo ad una pratica sempre più comune nell’epoca della didattica a distanza, Meisels, che si identifica come bisessuale e non binari@, aveva scritto tra parentesi i suoi pronomi preferiti (they/she = loro/ella) insieme con il proprio nome su Zoom – l’unic@ student@ delle due dozzine di partecipanti al corso ad averlo fatto.

“Mi sono sentit@ pres@ proprio di mira, a disagio ed in pericolo”, ha detto Meisels, che frequentava lo Stern College for Women, una divisione della Y. U., ed aggiunto: “Per il resto del semestre, in quel corso, ho levato i miei pronomi dal mio nome, non ho parlato, ho fatto i miei compiti, e basta”.

Non era affatto la prima volta che Meisels si era sentit@ pres@ di mira all’università. Il caso fu percepito come uno solo dei tanti anelli di una catena lunga quattro anni di quella che Meisels e @ cinque altr@ student@ che hanno parlato con the Forward hanno visto come una cultura di silenzio alienante e paura costante che circondava i loro orientamenti sessuali [sexualities] e le loro identità di genere, alimentata dalle politiche dell’amministrazione della Y.U. e dall’evidente resistenza al cambiamento del corpo studentesco...


Raffaele Yona Ladu


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mercoledì 6 ottobre 2021

FtM Do It Better: intervista doppia con uomini transgender

 Il 9 novembre 2017, presso quello che allora era il circolo “Harvey Milk” di Milano,  è stato tenuto il workshop FTM do it better!  Se ne sono occupati Daniele Brattoli, Nathan Bonnì e Leo Cumbo. Gli ultimi due hanno accettato di confrontarsi in un’ “intervista doppia”, che qui riproponiamo integralmente, per l’importanza dei suoi contenuti.

ftm do it better
Immagine realizzata da Sam Meraviglia


Intanto: com'è andato il workshop?


Nathan Bonnì: Il workshop è stato molto partecipato e l'utenza era variegata: uomini e ragazzi in percorsi medicalizzati e non medicalizzati, dai 18 ai 50 anni, portatori di identità maschili canoniche o non binarie.


Leo Cumbo: Ritengo sia andato molto bene: la risposta e l'entusiasmo sono stati positivi e proficui. Hanno risposto ftm di tutte le età (molti giovanissimi) e a tutti i livelli di transizione, non medicalizzati compresi, ed era il nostro obiettivo. Proporre un incontro trasversale, sempre nell'ottica dell'accoglienza e della considerazione.


FtM do it better: un titolo scanzonato, che fa eco a un detto diffuso circa gli italiani e le loro capacità amatorie. Volete dunque dare un taglio ottimista al vostro lavoro di riflessione? O semplicemente... voi uomini siete fatti così? *linguaccia*


N.B.: Forse, il titolo sarebbe stato carino anche col punto interrogativo. In realtà, però, voleva essere una rivalsa verso l'esterno, che immagina l'ftm come "in competizione" con l'uomo bio, atto a "compensare" una mancanza; mentre, in realtà, un ftm è, non di rado, oggetto di desiderio da parte di uomini gay, donne etero e di tutta la comunità pansessuale al completo, come molti siti e annunci dimostrano :D 


L.C.: Beh! Sicuramente, la scelta del titolo ha voluto, in modo anche ironico, mettere in evidenza la possibilità di una piacevole sorpresa nella sessualità ftm e (perché no?)  inconsciamente, forse, anche stimolare la curiosità (non morbosa) di qualche scettico.


Parlare di FtM vuol dire anche parlare di pregiudizi. Vuol dire parlare di "femministe" (chiamiamole così) che li accusano di "rifiutare il dono di essere donna". O di loschi figuri da sito d'incontri che tacciano i ragazzi transgender di essere "donne invidiose della virilità". Cosa rispondete a siffatte amenità?


N.B.: Spesso, chi contatta gli ftm nei siti di incontri per biasimarli dovrebbe ricordare che è stato lui/lei a prendere l'iniziativa di contatto, e riflettere su cosa in lui/lei tocca la persona ftm.

Per quanto riguarda alcune correnti lesbiche e/o femministe, purtroppo viviamo, da un annetto, un periodo "nero", di separatismo, binarismo e rifiuto delle differenze. Sembra quasi che le persone XX debbano essere per forza lesbiche e/o femministe e qualsiasi altra definizione (sotto il cappello transgender) sia tollerata o addirittura bandita, come se fosse vista come una minaccia o togliesse qualcosa alle altre istanze.


L.C.: Ritengo che le opinioni rispetto una situazione che non ci appartiene, spesso, siano molto limitate, di parte, basate appunto sull'ignoranza. Sarebbe necessario un livello di intelligenza minimamente superiore per poter ammettere il proprio limite e (anziché fermarsi ad un'opinione appunto becera, che poi prende il nome di pregiudizio) cercare un approfondimento. Ergo, queste persone dicono già tutto di sé così, senza che io aggiunga altro...


A cura di Erica "Eric" Gazzoldi


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mercoledì 29 settembre 2021

Cancel culture e politically correct

 Da quando è scoppiato il movimento del “black live matters”, con le relative rivendicazioni, i detrattori hanno cominciato ad accusare gli attivisti per i diritti delle minoranze di voler “cancellare” tutto ciò che non piace loro e di voler imporre la cultura della minoranza a tutti. Questa retorica si nutre spesso e volentieri di vere e proprie falsità, di fatti alterati, o inventati di sana pianta e del vittimismo dei privilegiati che non accettano l’idea di non poter più denigrare gli altri. Inoltre, come sempre fanno certe destre fasciste o fascistoidi, questi “signori” accusano i movimenti per i diritti delle minoranze di voler fare ciò che loro fanno da sempre: cancellare gli altri e discriminare. 

Cancel culture

Partiamo da alcuni episodi per sviluppare il discorso. 

Uno dei casi che più hanno fatto discutere è la presunta “censura” dei classici, accusati, a detta di certa stampa, di essere “maschi bianchi”. Tutto parte dalla Howard University di Washington, una delle storiche università per afroamericani, che si è vista costretta, per questioni economiche, a chiudere il dipartimento di studi classici. I corsi di studio, però, non sono stati eliminati, ma “trasferiti” sotto l’egida di altri dipartimenti. I fatti, però, sono subito stati alterati, fino all’accusa di voler censurare gli autori classici solo perché “maschi bianchi” e quindi, di default, “suprematisti”. Qui vediamo all’opera uno dei classici meccanismi della propaganda delle destre razziste: alterare le accuse dei movimenti per i diritti in modo da creare caos. Gli attivisti di questi movimenti, infatti, non sostengono certo che tutti i bianchi siano suprematisti e razzisti, ma alle destre fa comodo che lo si creda...

Enrico Proserpio

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mercoledì 22 settembre 2021

Il Simposio - Leggende metropolitane

 Come chiunque sa, sono dette “leggende metropolitane” quelle storielle inverosimili che titillano però paure e credenze esistenti… al punto da ottenere talora anche una certa risonanza mediatica. Il mondo della sessualità, soprattutto se si tratta di minoranze come quella LGBT, è particolarmente adatto a ispirare questo genere di leggenda. Ecco che il titolo di questo Simposio vuole essere sottilmente provocatorio: quanto c’è di vero in quello che crediamo di sapere del mondo LGBT? 

il simposio leggende metropolitane

            Pensiamo a quanto viene detto sui social e in televisione in merito alla cancel culture e al politically correct: “Sono loro a discriminare! Vogliono censurarci!” Ebbene, sappiamo che deluderemo molta gente, ma un articolo di questo numero smonta proprio la leggenda metropolitana delle minoranze “brutte e cattive” che vogliono “tappare la bocca” agli altri.

            Un vero e proprio falso storico è invece quello della cintura di castità imposta dai crociati alle mogli. Ma, allora, a cosa serve? La risposta vi sorprenderà…

            Sarebbe bello se fossero solo leggende metropolitane le storie di molestie agli studenti queer nelle università. Invece, è assolutamente reale il caso della Yeshiva University, di cui leggerete.

            Sarà poi vero che “gli ftm lo fanno meglio?” Scopritelo nell’intervista intitolata, appunto, FTM Do It Better. A dispetto del titolo, non c’è alcunché di pruriginoso: solo le voci di ragazzi transgender che ci parlano del loro modo di essere uomo.

            Oltre a questo, incontrerete la poesia di un amore saffico finito, i gesti d’amore che hanno accompagnato le ultime Olimpiadi e alcune vignette pungenti.

            Buon viaggio tra realtà e surrealtà!


Il Simposio - Leggende metropolitane è disponibile su Amazon in formato Kindle

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