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venerdì 2 ottobre 2020

Le "etichette" servono davvero?

 Ed eccola qui. 

etichette lgbt

Giunge puntuale come la cacarella – che, forse, sarebbe ancora preferibile – all'affacciarsi del Pride Month, l'eterna manfrina sulle "etichette LGBT" e su quanto esse siano fastidiose, ridicole e inutili.

 

"Sono troppe, fanno ridere, non si capiscono, ogni anno ne spuntano di nuove. Cheppalle!"

 

Ovviamente, senza dimenticare le battute trite e ritrite (che ormai non fanno ridere più nessuno) sulla lunghezza della sigla LGBTQIA+.

Guarda caso, questo discorso salta sempre fuori avendo come oggetto di critica le cosiddette "minoranze nelle minoranze", ovvero quelle soggettività meno note e – forse? – meno numerose della comunità: persone pansessuali, panromantiche e aromantiche, asessuali, intersex, non-binary, poliamorose. L'esistenza di una ricca varietà di identità di genere, in particolare, sembra proprio dare fastidio e suscitare critiche feroci.

Insomma: già ci sono gay e lesbiche e tante grazie che ogni tanto ci ficchiamo in mezzo trans e bisessuali; questi altri che vogliono?

 

LE MOTO SÌ. LE FROCIE NO.

Ho riscontrato, in particolare, che ci sono due categorie specifiche di persone che sembrano essere gravemente turbate dall'ampliarsi di termini che descrivono genere e identità:

1.                  persone cis-etero, maschi in particolare – manco a dirlo, non me lo sarei MAI aspettato;

2.                 persone della comunità più conservatrici che imputano alle varietà identitarie del movimento qualsiasi problema interno al movimento stesso.

Ho frequentato per un certo periodo diversi biker che si sono tutti premurati di spiegarmi le sostanziali differenze tra diversi tipi di moto e tutta la tassonomia Harley-Davidson perché – giustissimamente e ci mancherebbe pure – uno Sporster non è certo un Panhead degli anni '60. Ho frequentato anche parecchi metallari e musicisti che – sempre giustamente – tengono moltissimo a differenziare i diversi sottogeneri del metal, molti dei quali mi sono talvolta stati spiegati, anche se il mio interesse verso l'argomento era, in quel momento, tendente allo zero – ma vuoi mica non ascoltare il maschiochespiegacose?!

Queste persone sono perlopiù le stesse che, pregate di usare il genere giusto riferendomi alla ragazza che frequentavo – una donna transgender, quindi MtF – o quando spiegavo che sono una persona di identità non binaria, mi rispondevano seccati che a loro non interessava:

 

"Troppi termini nuovi da imparare".

"Ah, ma io non riesco a stare appresso a tutte queste parole che vi inventate ogni volta."

"Ok. Ma io dico così ("frocio", "maschia", "travone" o vai di misgendering selvaggio)."

 

Insomma; per la tua moto del cazzo i termini li impari volentieri; per mostrare un minimo di rispetto alla persona che hai di fronte no...


Giulia Cosmo Fragapane


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